Nulla di fatto nel primo giorno di colloqui a Istanbul tra Russia e Ucraina

Nulla di fatto nel primo giorno di colloqui a Istanbul tra Russia e Ucraina

Zelensky ha lasciato Ankara dopo una giornata di lunghe attese e accuse reciproche con Mosca.

L’assenza di Putin ha fatto infuriare i vertici ucraini, che si erano recati a Istanbul dopo il diktat di Trump in seguito all’invito diretto del Cremlino. Il presidente ucraino ha definito la delegazione scelta da Putin come «fasulla», in quanto «non dotata di potere decisionale». «Noi» ha dichiarato Zelensky, «abbiamo portato una delegazione al massimo livello. Il ministero degli Esteri, il mio ufficio, i militari, la nostra intelligence… e tutto ciò al fine di prendere qualsiasi decisione che possa portare alla pace giusta che ci si aspetta». Mosca ha reagito duramente, replicando che l’omologo di Putin è un clown e un fallito. Parole che hanno scatenato un nuovo botta e risposta dalla distanza.

Ma al di là del livore ciò che resta a Zelensky è l’amaro in bocca per l’umiliazione subita. Anche su questo si dovrà soprassedere e infatti la delegazione ucraina, che sarà guidata dal ministro della Difesa Umerov ha comunque ricevuto l’ordine di recarsi a Istanbul per incontrare la controparte. Forse stasera, forse domattina, non lo sappiamo ancora. Ma ciò che è certo è che il clima della vigilia è pessimo. Kiev vorrebbe parlare di cessate il fuoco come precondizione a qualsiasi trattativa, Mosca ha già dichiarato che ci sarà bisogno di un ragionamento sui territori occupati, alché Zelensky ha sottolineato di nuovo che «pace giusta significa integrità territoriale».

Tuttaavia, senza incontri diretti le dichiarazioni di intenti restano comunque solo propaganda e, per ora, la tregua resta un miraggio.

AGGIORNAMENTO DEL 15 maggio

Il presidente ucraino Zelensky aveva in mente una strategia chiara: inserirsi tra Putin e Trump per minare il riavvicinamento delle due potenze. Se fino a qualche settimana fa sembrava impensabile, ora invece il mondo si rende conto che la pazienza del leader ucraino ha pagato. Certo, bisogna sempre tener conto degli altri attori coinvolti, e quindi dell’ego di Donald Trump e delle mosse del Cremlino, ma ciò che è evidente è che il percorso iniziato nel breve incontro di San Pietro, continuato con la firma dell’Accordo sulle terre rare e con l’appoggio Usa alla tregua di 30 giorni di sabato scorso è tutt’altro che casuale.

D’altro canto la Casa bianca non poteva più permettersi di farsi trascinare da Mosca in quella che ormai era evidentemente una trappola. Vladimir Putin temporeggia per continuare la guerra sul campo e permettere alle sue truppe di avanzare e persino la sicumera di Trump si è dovuta arrendere di fronte a questa evidenza. Il Cremlino è stato costretto alla contromossa, convocando il vertice di Istanbul, ma nelle ultime ore non ha rilasciato ulteriori dichiarazioni.

Se Putin sarà presente in Turchia non lo sappiamo ancora e, tuttavia, Zelensky ha già dato conferma della sua partecipazione sfidando apertamente i russi. Per il presidente ucraino la congiuntura è stata più che favorevole. È riuscito a sfruttare la voglia di protagonismo dei paesi europei insieme alle frustrazioni statunitensi per lo stallo delle trattative. Ora la speranza di Kiev è che Putin non si presenti, in questo modo Zelensky potrà gridare al mondo che guerrafondaio vigliacco sia il nemico e stringere ancora di più i legami con gli alleati. Se il presidente russo dovesse dar seguito alla sua stessa proposta, tuttavia, non è escluso che Trump possa tornare immediatamente a sostenere il gigante euroasiatico e la pacificazione forzata a discapito dell’Ucraina.

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