La Romania vira a destra. Come il resto del mondo

La Romania vira a destra. Come il resto del mondo

Elezioni in Romania

Nel mondo tira forte il vento dell’estrema destra: la Romania, che si prepara alle elezioni del 4 e del 18 maggio, non fa eccezione.

A prima vista, la Romania sembra essere il prossimo Paese europeo – e mondiale – ad eleggere un governo di estrema destra nella sua ultima tornata elettorale.

Dopo gli Stati Uniti, finiti in mano a Trump, e la Germania, che ha visto la crescita esponenziale nei consensi del partito di estrema destra Afd (Alternative fur Deutschland, ndr), ecco la Romania.

Nazione che lo scorso novembre aveva eletto un presidente, il filo-russo Călin Georgescu, che è stato destituito dalla Corte Costituzionale dopo soli 100 giorni e che successivamente è stato escluso dalla tornata elettorale del 4 maggio.

Ciò non toglie che al momento, in virtù di una coalizione nata proprio a fini elettorali, in vantaggio nei sondaggi sarebbe la destra, rappresentata da quello che è il rimpiazzo di Georgescu e il nuovo volto dell’estrema destra del Paese: George Simion.

Elezioni in Romania, chi è George Simion?

Simion è un candidato molto giovane – classe 1986, ha solo 38 anni – è il leader dell’AUR (Alleanza per l’Unione dei Romeni), seconda forza politica del Paese e partito che, analogamente ad Afd in Germania, negli ultimi anni ha raddoppiato i propri consensi, passando dal 9% conquistato nel 2020 al 18% del 2024. Attualmente si attesta intorno al 27% delle preferenze.

È vicepresidente del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, del quale Giorgia Meloni è stata presidente fino allo scorso gennaio.

All’indomani dell’esclusione del 62enne Georgescu, da lui definita “colpo di Stato”, Simion aveva dichiarato che si sarebbe candidato alle elezioni, e ha mantenuto la sua promessa.

Gode del sostegno, oltre che dell’AUR, di SOS Romania e del Partito della Gioventù, che alle elezioni di novembre avevano raccolto complessivamente il 31% dei voti.

Simion è noto per le sue proposte controverse, come quella di ripristinare i confini della Grande Romania antecedenti alla Seconda Guerra Mondiale, includendo territori che oggi appartengono a Bulgaria, Moldavia e Ucraina.

Se durante la pandemia da Covid-19 ha portato avanti una campagna anti-vaccini, attualmente l’AUR è la principale forza politica di opposizione, e cavalca il malcontento della popolazione nei confronti dell’estabilishment.

Elezioni in Romania, gli sfidanti di Simion

Secondo un sondaggio condotto da Flashdata, il leader dell’AUR sarebbe in vantaggio con il 27% delle preferenze.

Il principale sfidante di Simion è il leader dell’attuale coalizione di governo, Crin Antonescu (Socialdemocratici-Liberali-Ungheresi), attestato al 26%.

Il candidato indipendente ed europeista Nicușor Dan (centro), sindaco in carica di Bucarest, si attesterebbe intorno al 20%.

Il resto della torta elettorale se la spartirebbero la leader riformista Elena Lasconi (Unione Salva Romania – USR, 9%) e il candidato indipendente Victor Ponta, ex leader dei Socialdemocratici (PSD) ed ex primo ministro (estrema destra, 8%).

Secondo il sondaggio l’82% dei romeni è intenzionato ad andare alle urne per votare alle elezioni presidenziali del 4 e 18 maggio. Una percentuale minima, il 9%, ha dichiarato che si asterrà dal voto: una percentuale pari a quella degli indecisi. Il 69% dei romeni sa già per quale candidato votare.

La tendenza estrema destra nel mondo

L’esito delle elezioni politiche e amministrative più recenti a livello mondiale conferma una grande tendenza comune: salvo eccezioni, nella stragrande maggioranza dei Paesi si vira decisamente verso destra o verso partiti che sposano idee e applicano principi dalla forte matrice nazionalista e identitaria. Spesso estremisti, tendenti all’antipolitica e critici verso l’estabilishment: si tratta di partiti, e uomini (e donne) politici, che cavalcano la rabbia di pancia della popolazione e sanno come sfruttarla a proprio vantaggio. (Ri)scopriamoli insieme.

Nomine Trump

Donald Trump, Stati Uniti

Le posizioni del 47esimo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sono ormai note a chiunque:  POTUS osteggia la Cina (attraverso i tanto chiacchierati dazi), l’immigrazione (con la creazione del famigerato muro destinato a separare il Messico dagli USA) e la comunità LGBTQ+ e porta avanti politiche spiccatamente razziste, nazionaliste ed espansionistiche (vorrebbe che il Canada diventasse il 51esimo Stato USA).

Argentina, il presidente Javier Milei

Javier Milei, Argentina

Javier Milei, che è in carica da dicembre 2023, è il populista di destra per eccellenza ed è noto per le sue posizioni radicali: si definisce anarcocapitalista, si è dichiarato favorevole all’abolizione dello Stato ed è un utopista libertario. Sul connazionale José Maria Bergoglio, meglio noto come Papa Francesco, nel 2020 disse: “Il Papa è il rappresentante del Maligno sulla Terra”. È filo-israeliano al punto di aver dichiarato di volersi convertire all’ebraismo. È anti-abortista.

Petteri Orpo, Finlandia

A giugno 2023 nel Paese scandinavo si è insediato il governo di Petteri Orpo, candidato conservatore di centro-destra sostenuto da una coalizione alla quale partecipa anche il partito di estrema destra Veri Finlandesi (PS). Si tratta di una forza politica importante per la tenuta dell’attuale governo: basti pensare che l’attuale Ministra delle Finanze è la PS Riikka Purra, che ricopre anche la carica di vice-ministro.

Orpo, leader del Partito di Coalizione Nazionale (KOK), mira soprattutto alla riduzione del debito pubblico e considera del tutto secondarie le politiche sociali. Anche lui, come i suoi omologhi negli altri Paesi, è contrario all’immigrazione.

Dick Schoof, Paesi Bassi

Nell’estate 2024 il candidato Dick Schoof, non affiliato con nessun partito, è diventato Primo Ministro dei Paesi Bassi (che, lo ricordiamo, sono una monarchia costituzionale). Schoof è ora a capo di una coalizione di centro-destra composta dal Partito per la Libertà (PVV) di Geert Wilders, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD), il Nuovo Contratto Sociale (NSC) e il Movimento dei Cittadini Agricoltori (BBB).

Nella sua agenda il focus sulla sicurezza nazionale e, a livello di politiche sull’immigrazione, la politica “più severa mai vista” nel Paese. Il suo programma di governo prevede una politica di asilo molto restrittiva e una richiesta di deroga alle regole europee sull’immigrazione. Il tutto condito da un approccio filoeuropeista.

Herbert Kickl, Austria

Herbert Kickl è il leader del Partito della Libertà (FPÖ), che nel 2024 aveva ottenuto il maggior numero delle preferenze elettorali senza, tuttavia, riuscire a governare per mancanza di appoggio da parte degli altri partiti per formare una maggioranza. Hickl appoggia politiche sull’immigrazione molto restrittive, tanto da proporre la “remigrazione”, cioè il rimpatrio di immigrati e dei loro discendenti che non si integrano nella società austriaca.

Si è autodefinito Volkskanzler (cancelliere del popolo), un termine storicamente associato al nazismo. Inoltre ha sempre mantenuto rapporti con movimenti di estrema destra, come gli Identitari, partecipando a eventi organizzati da gruppi neofascisti.​

Pur essendo oggi al potere Christian Stocker e il suo Partito Popolare Austriaco (ÖVP, centro-destra), Hickl e il suo partito mantengono sempre un peso specifico importante.

Andrej Plenković, Croazia

Non propriamente un neoeletto – è premier dal 2016 – Andrej Plenković è il leader dell’Unione Democratica Croata (HDZ), partito di centro-destra che a maggio 2024 ha stretto un’alleanza con il partito nazionalista di estrema destra Movimento per la Patria (Domovinski Pokret, DP).

Virando più decisamente a destra, Plenkovic ha iniziato a sostenere misure più severe in materia di immigrazione e a escludere gli esponenti del partito della minoranza serba dal governo. La sua visione, però, è e resta europeista.

Giorgia Meloni, Italia

La premier italiana Giorgia Meloni è cresciuta e cambiata tanto rispetto agli albori della sua carriera politica, quando a 19 anni entrò in Azione Giovani, movimento giovanile di Alleanza Nazionale (AN). Da quando è diventata Presidente del Consiglio, nel 2022, Meloni ha abbandonato posizioni più euroscettiche per aprirsi alla “collaborazione” con l’UE, sostenendo il Patto di Stabilità rivisto e negoziando i fondi del PNRR (Piano di Ripresa e Resilienza, ndr) senza scontrarsi frontalmente con la Commissione Europea.

Sull’immigrazione è passata da una linea durissima zero immigrati alla firma di accordi bilaterali (es. con Tunisia e Albania) per gestire i flussi migratori, puntando sulla cooperazione internazionale e non sul blocco navale. Ad oggi, pur provenendo da un humus politico di estrema destra, la premier si propone come esponente “presentabile” e gradita all’estabilishment europeo, e non solo.

Nel mondo, l’estrema destra ha anche tanti altri esponenti la cui presenza è ormai consolidata, come Viktor Orban in Ungheria e Benjamin Netanyahu in Israele, ma la tendenza è sempre la stessa: in tempi di crisi internazionali, conflitti e incertezze, le popolazioni avvertono sempre lo stesso, viscerale, bisogno: affidarsi a uomini (e donne) dall’immagine forte e di forti valori nazionalisti e identitari. Illudendosi che li possano liberare dal male.

Condividi

Sullo stesso argomento