Dopo mesi di vuoto e incertezza, la Corte costituzionale ungherese ha due nuovi membri, coprendo così tutti i seggi necessari al funzionamento di questa delicata istituzione. In seguito all’elezione di Tamás Sulyok alla Presidenza della Repubblica e alla scadenza del mandato di altri due giudici, la Corte era infatti composta da 12 membri invece dei 15 previsti dalla legge. Dopo diverse indiscrezioni, il gruppo parlamentare di Fidesz ha infine annunciato la candidatura e successiva elezione di Péter Polt e Csaba Hende a due dei seggi disponibili. Non solo: l’Assemblea nazionale magiara ha nominato Polt alla Presidenza della Corte, garantendogli così un ruolo di primo piano all’interno dell’assise.
Hende e Polt sono entrambi personalità di primo piano nella politica ungherese. Il primo ha ricoperto la carica di Ministro della Difesa dal 2010 al 2015, venendo in seguito nominato Vicepresidente del Parlamento. Il secondo è stato invece Procuratore generale della Repubblica, carica che ha già ricoperto dal 2000 al 2006 e poi ininterrottamente dal 2010 e fino all’assunzione del nuovo mandato. Proprio l’elezione di Polt alla Corte costituzionale ha scatenato una serie di forti reazioni da parte dell’opposizione e della stampa ungheresi. Per comprendere meglio questa ondata di indignazione è necessario spendere qualche parola circa il sistema giudiziario ungherese.
Nonostante la svolta illiberale iniziata da Viktor Orbán nel 2010, la Costituzione ungherese sancisce ancora il principio cardine della divisione dei poteri, con l’affidamento dell’amministrazione della giustizia ai tribunali. Questi decidono sui casi criminali, sulla legalità degli atti della pubblica amministrazione e sul conflitto tra gli atti in base al principio della gerarchia delle fonti. Le 158 corti attualmente esistenti sono strutturate su quattro livelli, ossia le Corti distrettuali, amministrative e del lavoro, la Corti regionali, le Corti regionali d’appello e la Kúria, il cui Presidente viene nominato dal Parlamento su proposta del Presidente della Repubblica. La divisione in livelli non implica un rapporto di subordinazione tra i vari tribunali: i livelli superiori, infatti, non possono in alcun modo dare indicazioni a quelli inferiori e la legge stabilisce l’indipendenza di ogni giudice, i quali non possono essere membri di alcun partito e non possono svolgere attività politica.
Una prima riforma della giustizia, approvata nel 1997 durante il governo a guida socialista presieduto da Gyula Horn, ha proclamato il Consiglio Nazionale di Giustizia (Országos Bíroi Tanács, OBT) come corpo con autogoverno. Tra il gennaio e il marzo 2011, tuttavia, due nuove riforme privano l’OBT di molti dei suoi diritti, delegando vaste competenze alla sua Presidenza, mentre nel gennaio 2012 un nuovo regolamento garantisce l’amministrazione centrale delle Corti al Presidente del Consiglio Nazionale di Giustizia, concedendo all’OBT un ruolo di supervisione dell’operato della Presidenza. Sebbene queste riforme siano state giustificate con la necessità di garantire un miglior funzionamento dell’istituzione, le cui decisioni e lungaggini sono state presentate come viziate da interessi particolari, la coincidenza temporale con la vittoria elettorale di Orbán nel 2010 e la sua annunciata svolta illiberale è quanto meno allarmante.
Non a caso, infatti, la trasformazione dell’Ungheria in democrazia illiberale è iniziato con un attacco al sistema giudiziario e alla Corte costituzionale. Nell’aprile 2011, il Parlamento a supermaggioranza Fidesz ha proclamato una nuova Legge fondamentale, ossia una nuova Costituzione, corredata da una serie di Disposizioni transitorie e finali che, tra l’altro, prevedevano la riduzione dell’età pensionabile per i giudici ordinari da 70 a 62 anni. Avendo la disposizione un effetto immediato, ben 274 giudici sono stati pensionati, tra i quali sei Presidenti delle Corti regionali su venti, quattro dei cinque Presidenti delle Corti regionali d’appello e venti degli ottanta membri della Kúria. Un vero e proprio terremoto che ha permesso un forte rinnovamento degli organismi in questione e un primo aumento dell’influenza del governo sul potere giudiziario.
Non solo: le già menzionate riforme del 2011 prevedono l’elezione dei 15 membri dell’OBT, di cui uno è, di diritto, il Presidente della Kúria, attraverso un ballottaggio segreto e con un meccanismo che garantisca una divisione dei seggi tra tutti i livelli in cui è strutturato il potere giudiziario. Alle sedute dell’OBT partecipa anche, tra gli altri, il Ministro della Giustizia. La presenza di questa carica è stata motivata con la volontà di rendere l’OBT un forum di cooperazione tra le diverse parti del sistema giudiziario ungherese, ma restano forti perplessità, denunciate anche dalla Commissione Europea, circa possibili ingerenze del governo ungherese nel funzionamento dell’amministrazione della giustizia.
Le altre due istituzioni cardine del sistema giudiziario magiaro sono la Procura Generale della Repubblica e la Corte costituzionale. La prima rappresenta l’autorità punitiva dello Stato ed è presieduta dal Procuratore generale della Repubblica, eletto dal Parlamento, al quale riferisce annualmente, con un mandato di nove anni. La seconda è invece uno degli enti cardine del sistema politico ungherese e non a caso è stato uno dei settori del sistema giudiziario più colpito dalle riforme dei governi guidati da Viktor Orbán. I membri della Corte e il suo Presidente sono eletti dal Parlamento senza il coinvolgimento di altri organi giudiziari, generando quindi forti dubbi sull’effettiva indipendenza di questo organo garante del sistema costituzionale magiaro. Non solo: il Parlamento a supermaggioranza Fidesz ha modificato tre volte la legislazione relativa alla Corte costituzionale dal 2010 a oggi. Se fino al 2010, infatti, le nomine dei giudici costituzionali andavano concordati con l’opposizione, da quell’anno questa clausola è stata eliminata. Nel 2011, poi, il numero dei membri della Corte è passato da 11 a 15, mentre tra 2012 e 2013 è aumentata la durata del mandato dei giudici costituzionali, passando da 9 a 12 anni.
Garantendosi la nomina dei membri della Corte, aumentandone il numero dei componenti e modificando le legislazioni, Fidesz si è assicurato il controllo di questa delicata istituzione, minandone di fatto l’indipendenza. Non a caso, tre ONG hanno studiato 23 casi discussi dalla Corte, 10 dei quali prima che la maggioranza dell’assise fosse nominata dal Fidesz e 13 dopo questa svolta. Se, inizialmente, le sentenze erano a maggioranza sfavorevoli al governo, dopo le riforme menzionate poco sopra i responsi erano invece favorevoli all’azione del governo, con addirittura alcuni giudici che hanno votato in linea con il governo nel 100% dei casi.
E proprio la nomina di Péter Polt alla Presidenza della Corte costituzionale ha scatenato una serie di feroci polemiche e il timore di un’ulteriore stretta di Orbán sull’indipendenza del sistema costituzionale-giudiziario ungherese. Polt, figura tanto importante nella sfera giudiziaria quanto schiva nelle apparizioni pubbliche, ha coperto la carica di Procuratore generale della Repubblica dal 2000 al 2006 e poi ininterrottamente dal 2010, vedendo aumentare la durata del suo mandato a 9 anni grazie alla riforma del 2011. Nel corso della sua carriera, Polt è stato più volte bersaglio di accuse di inazione selettiva a favore del governo e di aver insabbiato inchieste politicamente pericolose. Tra il 2018 e il 2020, per esempio, il partito di opposizione Demokratikus Koalíció (DK) ha presentato 86 denunce formali alla Procura generale della Repubblica: di queste, solo 21 sono state accolte, ma su nessuna sono proseguite le indagini.
Al di là delle controversie intorno alla sua figura, sono anche altre le ragioni che hanno portato a un’alzata di scudi in seguito all’elezione di Péter Polt. La candidatura del Procuratore generale sembra infatti l’ultimo tentativo di Viktor Orbán di stringere la propria morsa tanto sulla Corte quanto sulla Procura generale, soprattutto in vista delle elezioni del 2026. La prossima tornata elettorale, come confermato dallo stesso Orbán, potrebbe essere difficoltosa per Fidesz vedendo la sfida feroce della “nuova” opposizione guidata dal partito Tisza e da Péter Magyar. In un clima da possibile resa dei conti, il Primo ministro ungherese sembra intenzionato a porre i propri uomini in tutte le posizioni chiave della società ungherese per prevenire qualsiasi possibile azione spiacevole qualora Fidesz dovesse perdere le future elezioni.
E questo spiega appunto la decisione di candidare Polt alla Corte costituzionale e, addirittura, alla sua Presidenza. Il mandato del Procuratore generale, della durata di 9 anni, sarebbe infatti scaduto nel 2028 e il successore sarebbe quindi stato nominato dal nuovo Parlamento che potrebbe, per la prima volta da anni, vedere una maggioranza sfavorevole a Orbán. Eleggere Polt, fedelissimo di Fidesz più volte accusato di aver fatto arenare indagini sulla corruzione del governo ungherese, alla Corte costituzionale ha permesso di salvare capra e cavoli. Da un lato, infatti, Orbán ha posto una delle personalità a lui più fedeli in quella che è tra le più importanti istituzioni del Paese. Dall’altro, il Parlamento a supermaggioranza Fidesz si è garantito la possibilità eleggere un nuovo Procuratore generale, assicurandosi così da eventuali scossoni per i prossimi nove anni. Manovre politiche, queste, che avranno indubbiamente ricadute sul funzionamento del sistema giudiziario magiaro, la cui indipendenza è percepita come in buono stato solo dal 37% dei cittadini ungheresi.
Davide Galluzzi