Gli Usa interrompono le forniture di armi all’Ucraina per obbligarla a trattare

Gli Usa interrompono le forniture di armi all’Ucraina per obbligarla a trattare

Commemorazione per i soldati caduti a Kiev, 25 febbraio 2025. Foto di Sabato Angieri

Gli Stati Uniti hanno deciso di bloccare l’invio di armi all’Ucraina. Dopo la tremenda conferenza di venerdì scorso a Washington, alla fine della quale Volodymyr Zelensky è stato messo alla porta in malo modo, Donald Trump ha deciso di mostrare a Kiev cosa vuol dire mettersi contro la Casa Bianca.

La motivazione ufficiale fornita dal tycoon è che bisogna «valutare se [le armi statunitensi] stiano effettivamente contribuendo a una soluzione». Ma il messaggio, chiaro a tutti dall’Ucraina a Bruxelles, è che se Zelensky non si piegherà a trattare nelle modalità e nei tempi indicati dagli Usa questi ultimi non forniranno più supporto militare al Paese est-europeo. Si attua così il progetto immaginato dai negoziatori designati da Trump lo scorso autunno – «Se l’Ucraina non accetterà di trattare con la Russia le forniture belliche saranno ridotte drasticamente fino a essere interrotte; ma se a rifiutarsi di trattare fosse Mosca allora le forniture aumenteranno». La seconda opzione non è mai stata sul tavolo da quando Trump si è insediato. La riapertura dei rapporti diplomatici con il Cremlino è stata rapida e, finora, ha portato a due colloqui (Riad e Istanbul) e a una serie di apprezzamenti reciproci. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, domenica scorsa ha dichiarato in tv che «la nuova amministrazione [degli Usa] sta cambiando rapidamente tutte le configurazioni di politica estera. Ciò coincide in gran parte con la nostra visione».

Dopo l’incontro del 18 febbraio in Arabia saudita, il Segretario di stato Usa Marco Rubio aveva evidenziato tre obiettivi principali concordati da entrambe le parti: il ripristino del personale delle ambasciate a Washington e Mosca, la creazione di un team di alto livello per facilitare i colloqui di pace in Ucraina e l’esplorazione di modi per rafforzare la cooperazione economica tra i due Paesi. L’incontro in Turchia si è concentrato sul secondo punto, ma all’uscita dalle sei ore e mezzo di riunioni Rubio ha ribadito che ci sono «diversi interessi comuni» nei quali i due Paesi possono investire. A partire dagli idrocarburi della Federazione che potrebbero diventare un affare miliardario per le aziende petrolifere d’oltreoceano.

Contemporaneamente, la crepa nei rapporti tra Washington e Kiev ha portato a una decisione inimmaginabile fino a qualche settimana fa. Tre anni di amministrazione Biden avevano portato all’Ucraina molto più di quanto si potesse pensare all’inizio del conflitto e per mettere al sicuro il sostegno continuativo alle forze armate di Zelensky, l’ex-presidente aveva approvato diversi pacchetti di forniture prima di lasciare definitivamente la Casa Bianca. Si tratta di 3,85 miliardi di dollari di armamenti lasciati in eredità da Biden alla nuova amministrazione. Ma Trump non sembra essersene curato troppo. La decisione di lunedì ha, infatti, calato Kiev in un limbo di incertezza da cui sarà difficile uscire.

Al momento non è disponibile una stima esatta delle armi bloccate dal decreto del tycoon. Quanti di quei 3,85 miliardi erano già stati consegnati a Kiev non lo sappiamo, ma per quelle forniture che si trovano già sul territorio ucraino il divieto non conta. Il resto degli armamenti che erano in viaggio verso l’Ucraina su navi aerei e treni è stato bloccati bruscamente. La decisione è diventata operativa da subito, tanto che il premier polacco Tusk ha confermato che i vagoni in transito verso Leopoli la scorsa notte si sono fermati.

Zelensky sa che la situazione non si sbloccherà facilmente, ma ha provato in tutti i modi a dimostrare a Trump di voler riprendere il dialogo e si è più volte detto «grato all’America» per le forniture ricevute finora. Non si tratta di un ringraziamento di cortesia, ma di un modo per rispondere a distanza alle accuse del vice-presidente Vance, il quale durante la conferenza-show di Washington ha più volte accusato il leader ucraino di essere «un ingrato». Zelensky, inoltre, ha provato a riportare al centro del dibattito l’Accordo sulle terre rare, punto d’incontro commerciale che i due Paesi avevano descritto come l’inizio di un partenariato economico fondamentale. Era per firmare quest’intesa, oltre che per tentare una negoziazione sulle famose «garanzie di sicurezza», che il capo di stato est-europeo si era recato negli Usa in tutta fretta, ma l’evoluzione (imprevista) dell’incontro aveva fatto saltare tutto.

Nelle scorse ore l’agenzia di stampa Reuters aveva dato per imminente la firma dell’accordo, che Trump avrebbe dovuto annunciare nel discorso al Congresso di martedì. Tuttavia, non c’è stata alcuna firma e i fedelissimi del tycoon hanno smentito qualsiasi nuovo contatto con Kiev.

Ma non si tratta dell’unico caso singolare di informazione fuorviante. Quasi in contemporanea con l’annuncio di Reuters, Trump ha annunciato di aver ricevuto una «lettera da Zelensky» nella quale il presidente ucraino si dichiarava dispiaciuto per quanto accaduto a Washington e pronto a discutere della tregua con la Russia. Oggi Kiev ha smentito l’esistenza di questa lettera, dichiarando che forse il presidente degli Usa si riferiva a un post sui social network (nel quale il presidente ucraino diceva effettivamente le frasi riferite da Trump). Ultimo caso, eclatante, di questo gioco di annunci e smentite è quello della cooperazione nell’intelligence. «Insieme alle forniture militari» ha dichiarato il capo della Cia, John Ratcliffe, «gli Usa hanno sospeso anche la cooperazione nel campo della condivisione di informazioni». Stavolta la smentita è arrivata da Kiev, che secondo alcuni alti funzionari sentiti dal media locale Suspilne, riceverebbero ancora informazioni dagli Usa.

Insomma, la confusione in Ucraina non è determinata esclusivamente dall’incertezza sul futuro. Le mosse di Trump spesso lasciano gli analisti interdetti su quale sia la possibile evoluzione del contesto. Al momento, tuttavia, risulta chiaro che la Casa Bianca sta utilizzando tutti gli strumenti di pressione disponibili per ammorbidire le resistenze di Zelensky e dei suoi e arrivare all’apertura di un tavolo negoziale per il cessate il fuoco il prima possibile.

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