C’era una volta… la riscrittura delle storie

C’era una volta… la riscrittura delle storie

Lo chiamano retelling: è la consuetudine di riscrivere le storie, soprattutto quelle più note e popolari. Lo si è sempre fatto: tra le riscritture più celebri nel nostro Paese ricordiamo, tra le altre, la versione alternativa de I promessi sposi di Umberto Eco e la riscrittura del Decameron ad opera di Aldo Busi e Piero Chiara.
Malgrado non si tratti di un fenomeno recente, è importante sottolineare che in epoca contemporanea ha tratto nuova linfa e, soprattutto, nuove motivazioni. L’idea è buona: perché non cambiare punto di vista e dare voce a personaggi che finora sono stati comprimari, a volte semplici spettatori? Perché non dare spazio ai cosiddetti “ultimi”? Gli emarginati, le donne, le persone di etnie diverse, le persone con corpi non conformi?

Riscoprire il punto di vista femminile

La tendenza contemporanea della riscrittura della storia ha tratto e tuttora trae grande energia dal momento femminista e post-femminista, ma non solo. L’urgenza è reale: le donne sono più raramente protagoniste delle grandi storie della tradizione. A volte, però, sono gli stessi uomini che sentono la necessità di cambiare punto di vista: è così che nacque, nel 1905, Il diario di Eva di Mark Twain. Un uomo, forse il primo, a scegliere coscientemente di ri-narrare una storia dal punto di vista femminile.
Siamo all’inizio del Ventesimo Secolo e le istanze del femminismo della prima ondata si stanno facendo potentemente strada negli Stati Uniti, dove Twain vive ed è nato. Siamo certi che, senza un adeguato contesto culturale, il noto scrittore avrebbe pensato di concepire un’opera simile?
Ovviamente no. Comunque, sta di fatto che già poco meno di trent’anni prima era stato presentato, per la prima volta in assoluto al Congresso Americano, un emendamento per il suffragio femminile. Le donne avrebbero conquistato il diritto di votare nel 1920, con ampio anticipo rispetto all’Italia.
È questo il mondo in cui lo scrittore americano scrive dal punto di vista di Eva: sarà proprio lei a dare la parola ad Adamo. Dopo averla ricevuta, a sua volta, da Twain. Però la parola delle donne spetta alle donne.
Questo è ciò che hanno pensato e pensano, sicuramente, autrici come Christa Wolf e Madeleine Miller, la scrittrice di Circe (2017) e, in tempi più recenti, Jennifer Saint con le opere su Arianna (2021) ed Elettra (2022).
Una delle prime scrittrici a prendersi carico di questa missione è stata proprio la Wolf, che in Cassandra ha dato voce alla sfortunata figlia di Priamo, che aveva previsto il disastro della guerra di Troia e aveva provato ad avvisare la sua gente restando inascoltata. Scrive Wolf nei panni di Cassandra all’inizio della sua opera: “Perché volli a tutti i costi il dono della veggenza? Parlare con la mia voce: il massimo”.

La testimonianza di Marilù Oliva

Cassandra è proprio la rappresentazione icastica di tutte quelle donne alle quali la voce è stata negata o tolta, nel corso della storia. Ed è proprio lei a essere stata di ispirazione, tra gli altri, per Marilù Oliva, autrice italiana nota per aver pubblicato le storie narrate da altri punti di vista di alcune divinità greche e di alcuni poemi: nella fattispecie, l’Odissea ed Eneide.
Lei stessa ce ne ha parlato: “La pubblicazione, nel 2020, de L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, riscrittura del poema omerico dal punto di vista delle donne in cui si è imbattuto Ulisse, ha avuto molto successo e mi ha spinta a riscrivere un altro poema epico: L’Eneide di Didone. Qui ho immaginato che la regina di Cartagine non si sia sostituita ad Enea, ma abbia proseguito il viaggio al suo posto: si tratta di una sorta di Eneide in chiave femminista. Come sono arrivate le idee? Pesandoci, studiando, proponendo l’epica alle mie classi delle superiori. E una componente fondamentale credo sia la mia propensione a viaggiare con la fantasia”. Tra le principali ispirazioni di Oliva, oltre a Wolf, sono da citare Alessandro Baricco, Luciano De Crescenzo, Cesare Pavese, Magda Szabò. Autori che, a suo dire, insegnano che “si può osare, se lo si fa con rispetto”.
In particolare, ricordiamo l’operazione compiuta proprio da Szabò nel riscrivere l’Eneide dal punto di vista di Creusa, la moglie di Enea: che riesce a fuggire da Troia al posto del marito. Anche il titolo dell’opera fa a meno dell’eroe troiano: si chiama, infatti, Il momento, o Creusaide.
Le autrici e gli autori che raccontano le storie da un punto di vista femminile, spesso, scelgono anche di regalare alle proprie eroine il privilegio dello spostamento nello spazio, caratteristica di solito riservata agli eroi maschili. Le donne nuovamente raccontate, come Creusa, possono compiere un viaggio che è anche fisico e non solo emotivo: un vero e proprio viaggio dell’Eroina, per dirla con le parole di Maureen Murdock.

Marilù Oliva
Marilù Oliva

L’attenzione al tema della scelta e dell’identità sessuale

Il punto di vista alternativo, però, non riguarda solo le donne ma tutti coloro che sono stati marginalizzati nel corso della storia: omosessuali inclusi. In tal senso, è significativa un’altra opera dell’autrice statunitense Madeleine Miller, La canzone di Achille. Pubblicata nel 2011, è una riscrittura dell’Iliade ispirata, a sua volta, dalla riscrittura del noto poema omerico da parte di William Shakespeare, la tragedia Troilo e Cressida.
Il libro di Miller non trascura la relazione, oltre ogni etichetta, esistente tra l’eroe Achille e Patroclo. Relazione che oggi, alla luce delle battaglie per i diritti e la visibilità delle persone LGBTQIA+ si carica di ulteriore significato. In un editoriale pubblicato sul The Guardian nel 2021, la stessa Miller ha raccontato la genesi del romanzo.
Nel 2000, mentre lavorava alla sua tesi di laurea in Lettere Classiche, si era scoperta frustrata dal modo in cui alcuni studiosi liquidavano con faciloneria e puritanesimo il rapporto tra Achille e Patroclo, definendoli niente di più che “buoni amici”.
Immergendosi sempre di più nella storia, la tesi di laurea è diventata romanzo. La riscrittura di un grande classico in una chiave sulla quale finora nessuno si era mai concentrato. L’autrice era consapevole dell’azzardo della propria scelta: “Una giovane donna che prende il materiale epico venerato e tradizionalmente maschile dell’Iliade e lo inquadra come una storia d’amore gay potrebbe non entusiasmare le persone”. Comunque, i risultati ci sono stati. Come ha raccontato lei stessa: “Ho sentito da alcune persone che (il libro, ndr) li ha aiutati a fare coming out con i loro genitori”. La canzone di Achille è uno di quei casi nei quali la letteratura è in grado di sortire effetti tangibili sulla realtà, dando coraggio alle persone e ispirandole.

Il revisionismo delle fiabe

Le storie sono potenti: in esse ritroviamo tutti gli archetipi del nostro inconscio collettivo e della nostra cultura. In particolare, nelle fiabe. D’altra parte, è dai tempi di Il secondo sesso di Simone De Beauvoir, anno 1949, che si riflette sulle asimmetrie di genere nelle fiabe. Riflessione poi continuata nella seconda ondata del femminismo, negli anni Settanta.
Nelle fiabe classiche, le donne sono (quasi) sempre principesse alle quali è necessario un principe per avere successo e portare a compimento la propria storia. E a volte, prima dell’arrivo del proverbiale principe azzurro, ad aiutarle ci sono altri uomini (vedi Biancaneve e i sette nani).
Ma le femministe hanno deciso di dire basta con questo stereotipo di genere perpetrato nei secoli, che ha trovato la cassa di risonanza perfetta in molte delle fiabe più celebri della nostra infanzia.
Si pensi alla riscrittura della storia di Cenerentola da parte di Rebecca Solnit: il suo Cenerentola libera tutti libera sia la protagonista che tutti gli altri personaggi della celebre fiaba dalle proprie schiavitù: Cenerentola dalla prigione domestica, le sorellastre (qui ribattezzate Perlita e Paloma, ndr) dalle imposizioni materne e dai diktat della bellezza; allo stesso modo il principe, liberato dai divieti legati al suo rango e la matrigna, liberata dall’ansia di non possedere abbastanza.
Audace e scatenata è la Biancaneve di Donald Barthelme, totalmente priva di quell’aria da brava ragazza acqua e sapone che ci hanno raccontato i fratelli Grimm e la Disney. Scritto nel 1967, all’inizio dell’epoca della rivoluzione sessuale, il libro racconta Biancaneve come una donna che ama scrivere poesie erotiche e vive promiscuamente in una comune con sette uomini. Ben lontana dalla fanciulla che parla con gli animali della foresta e dall’angelo del focolare dei suoi nanetti.
Si pensi anche al lavoro pregevole di Nikita Gill, autrice di Fierce Fairytales – Poems & Stories to Stir Your Soul e Great Goddesses: Life Lessons from Mythsand Monsters, nel riscrivere le fiabe e nel riflettere sulla mitologia e sulla sua tendenza a “mostrificare” le sue donne protagoniste.
Della necessità di riscrivere le storie Gill è convinta al punto di parlarne anche in alcune delle sue poesie, pubblicate nella raccolta Come arde il mio cuore edito in Italia da Rizzoli: “Le fiabe esistono. / sono sempre esistite./ Dobbiamo solo riscriverle / e riscriverle ancora / Finché non andranno bene”.
Un concetto pericoloso, per chi non vede l’ora di abusarne. Esiste infatti un vero e proprio movimento moralizzatore mirato a riscrivere le storie in modo da renderle inoffensive, in ogni accezione del termine. Farsi prendere la mano, nella rivisitazione narrativa, è un attimo.

Le polemiche: il caso di Roald Dahl

È certamente con il nobile fine di cambiare in positivo la mentalità comune, però, che a volte si tende ad esagerare. Il rischio più a portata di penna è quello di moralizzare le grandi opere riscrivendo le parti che non piacciono, che sono considerate poco politically correct, che rischiano di comunicare messaggi sbagliati o deleteri.
Insomma: anziché lavorare sulla coscienza e sulla coscienziosità si preferisce far ingollare ai potenziali fruitori di storie, soprattutto giovanissimi, bocconi già pronti e apparentemente non minacciosi, conditi nel modo più consono. Questo sta accadendo ogni giorno sotto i nostri occhi: lo scorso febbraio la casa editrice Puffin ha deciso, in accordo con la Roald Dahl Story Company, di riscrivere parzialmente alcuni dei capolavori del celebre scrittore inglese per ragazzi.
Così alcuni capisaldi della letteratura dell’infanzia come Gli sporcelli e il popolarissimo Charlie e la fabbrica di cioccolato, oggetto di due grandi trasposizioni cinematografiche, hanno un altro sapore. E parlano di un mondo in cui non sta bene scrivere “grasso” oppure “brutto”, così come fare esplicito riferimento a un genere sessuale (vedi gli Umpa Lumpa, che da “piccoli uomini” sono diventati “piccole persone”).
Per revisionare i testi, la casa editrice ha fatto ricorso a una società, la Inclusive Minds, la cui finalità è proprio quella di rendere più inclusivi e meno oltraggiosi i testi, soprattutto quelli rivolti ai lettori più giovani.
Per chi non lo sapesse, Roald Dahl è un autore che spesso e volentieri è stato accusato di razzismo, anche quando era ancora vivente: un esempio sono ancora una volta gli Umpa Lumpa di Charlie e la fabbrica di cioccolato, che all’inizio erano “pigmei neri” resi schiavi da Willy Wonka; in seguito alle polemiche, l’autore li trasformò in personaggi di fantasia.
Una sorte analoga è toccata anche ad altri libri e autori legati al mondo dell’infanzia. Alcuni esempi: Richard Scarry e Dr. Seuss, l’autore di Il Grinch e Il gatto col cappello, quest’ultimo colpevole di aver ritratto alcune persone “in modi che sono offensivi e sbagliati”. Si tratta di una pratica che ha senso? Secondo molti, si sta davvero esagerando. Tra questi, l’ex funzionaria governativa Suzanne Nossel, Ceo di Pen America, organizzazione non governativa composta da olte 7000 autori che sostiene e promuove la libertà di espressione, al netto del politicamente corretto.
Questo il commento di Nossel sul revisionismo dei libri di Dahl: “Tra feroci battaglie contro i divieti sui libri e le restrizioni su ciò che può essere insegnato e letto, l’editing selettivo per rendere le opere letterarie conformi a particolari sensibilità potrebbe rappresentare una nuova pericolosa arma”.
Indignato anche lo scrittore Salman Rushdie, autore del famoso I versi satanici, censurato perché considerato offensivo nei confronti dell’Islam (il libro è ispirato alla vita di Maometto, ndr), che gli valse una fatwā e due attentati. Queste le parole di Rushdie: “Roald Dahl non era un angelo, ma questa è una censura assurda. Puffin Books e la Da Story Company dovrebbero vergognarsi”.

A seguito dell’annuncio della modifica dei testi di Dahl, un editore italiano, Marco Cassini di SUR, ha lanciato su Twitter l’hashtag #riscriviamoli, volto alla riscrittura (ironica) di testi e titolo di opere celebri. Scomodando anche il primo canto della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Nel frattempo, gli utenti sfogano il proprio sarcasmo ipotizzando nuovi titoli per le opere che potrebbero offendere la sensibilità di qualcuno. Così, su Twitter, opere celebri come La bella e la bestia diventano “la geneticamente avvantaggiata secondo i canoni del patriarcato e un tipo affetto da irsutismo per sua disdicevole condotta”.

Sono tutte “malattie sociali”

Segnaliamo, sul tema, anche un interessante editoriale pubblicato su La Bussola Quotidiana. Citando il caso della denuncia per razzismo del belga-congolese Mbutu Dieudonné verso il protagonista del fumetto belga Tintin, accusato di razzismo e nostalgia del colonialismo, l’autore Stefano Magni scrive: “Se l’accusa di razzismo è comprensibile, soprattutto per un Paese come il Congo che ha subito così tante sofferenze e milioni di morti sotto il colonialismo belga, meno concepibile è l’idea di rimuovere anche aggettivi che riguardano caratteristiche fisiche e persino comportamenti”.
E aggiunge: “Nel mondo dell’anti-discriminazione si sta facendo strada una strana e pericolosa tendenza che considera tutte le malattie come malattie sociali. Quindi il grasso non è grasso in sé, ma è così perché considerato tale dalla società che non lo accetta. Neanche il cieco è cieco, ma è considerato tale dal suo ambiente non abbastanza inclusivo? A quanto pare sì”.
Insomma, si negherebbe l’evidenza delle cose per non scontentare nessuno e sfociando pericolosamente in una forma politicamente corretta di cancel culture.
Molti sono gli autori che si dissociano da questa deriva moralizzatrice, come ci ha confidato anche la sopraccitata Marilù Oliva: “Mi sembra una grande sciocchezza. Io sono per mantenere l’autenticità di un’epoca, con le sue ombre e i suoi abissi. Per quanto riguarda i libri per bambini, potrebbe semmai essere utile inserire delle note per far capire loro quello che per un adulto è più immediato e cioè che la sensibilità dei secoli precedenti non era uguale a quella di oggi. Ma anche su questo rifletterei. Per fortuna ci siamo evoluti e, se la società è cambiata, ciò non significa che dobbiamo fare damnatio memoriae degli sbagli e dei pregiudizi del passato, anzi: conoscerli nella maniera giusta può servire per non ripeterli”.
C’è da dire, però, che cercare di educare le persone al pensiero critico è molto più complesso che aderire a una scena culturale ansiosa di compiacere le mode sociali del momento. E richiede un piccolo sforzo da parte di tutti.

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