Marco Piccinelli

Iniziano ad incombere (anche) le elezioni europee

Iniziano ad incombere (anche) le elezioni europee

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«L’Italia, al momento dell’insediamento del Governo Meloni, aveva un numero di infrazioni pendenti pari a 83, rispetto alla media europea di 66: con questo decreto legge si interviene su 8 procedure e si interviene su altre 12» in fieri. È quanto dichiarato dal Ministro Raffaele Fitto nel corso del Consiglio dei Ministri di ieri, al cui tavolo erano presenti anche Nordio (Giustizia), Lollobrigida (Agricoltura e Sovranità alimentare), Roccella (Pari opportunità e Famiglia), oltre al già citato Fitto. Il ministro, tra le altre cose, ha parlato di una mutazione di atteggiamento e di relazione, tutta positiva stando alle parole di Fitto, tra il Governo Meloni e le istituzioni europee. Le dichiarazioni incrociate che da giorni veleggiano sulla stampa, su canali d’informazione digitale e televisiva, sono evidentemente unanimi nel definire “opportunità” quella delineata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, eppure da mesi società civile, parti sociali, enti culturali, opposizioni e via dicendo, ammoniscono e avvertono sul come il piano potrebbe risultare addirittura controproducente per il Paese.

Nicola Rossi
Nicola Rossi

Secondo Nicola Rossi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, intervenuto nella trasmissione ‘Omnibus’ di «La7»: «Il vero rischio è che i soldi si spendano ma che poi [questa spesa] non si traduca in capacità di crescita. A quel punto ci ritroveremmo con un debito “che non finisce più” e l’impossibilità fisica di rimborsarlo». Secondo Rossi questo sarebbe un rischio ancor più grande di quello che andava insinuandosi ad inizio dell’anno in corso, cioè il non riuscire a spendere in determinati capitoli di spesa. Insomma, va bene essere intervenuti sulle procedure d’infrazione, ma la questione è davvero molto più imponente. Il Paese sta per ricevere dei soldi a debito senza conoscerne il tasso d’interesse, con rischio di non essere neanche in grado di restituirli dal momento che la struttura amministrativa – già all’osso a causa di tagli trentennali alla pubblica amministrazione – non sarebbe in grado né di accogliere questo flusso, né di gestire il dopo. “Rovesciare” dei soldi, miliardi di euro, su un Paese che possiede un divario amministrativo, burocratico, di classe sociale, nonché geografica tra nord e sud e pensare che, così facendo, si possa aiutare quel “sistema” a risollevarsi, è «abbastanza utopico».

Secondo “Openpolis” i principali motivi «per cui stiamo spendendo poco» i soldi del Pnrr sarebbero due: «Da un lato, la lentezza generale dei processi burocratici della pubblica amministrazione; dall’altro la carenza nelle singole amministrazioni locali, delle competenze necessarie in tema di progettazione e rendicontazione. Criticità note, ma il governo finora non ha introdotto nessun meccanismo di salvaguardia». A cui si aggiunga che: «I governi Draghi prima e Meloni poi hanno cercato di ovviare a queste difficoltà autorizzando una serie di assunzioni, sia a livello centrale che locale, per potenziare la capacità amministrativa. Tale operazione però non è stata sufficiente. Sia per i pochi posti previsti, sia per la scarsa appetibilità economica e contrattuale di tali posizioni».

Centrodestra europeo

Tra i vari capitoli ancora da scrivere, da parte del Governo, arriva a farsi avanti anche il tema delle alleanze attorno alle Elezioni Europee. Tatticismo puro, dunque, non burocratismo. Berlusconi, nei giorni scorsi, ha affidato le sue parole al «Giornale» (“e dove, sennò?”, verrebbe da dire) e, alle orecchie attente di Augusto Minzolini, ha detto: «Credo sia possibile una maggioranza di centrodestra in Europa. Sarebbe una svolta importante e darebbe un nuovo impulso al funzionamento delle istituzioni europee, superando ogni residua forma di scetticismo verso la casa comunitaria». Sostituire una grande coalizione con un monocolore a guida Ppe, in buona sostanza.

C’è da dire che a ogni proposta avviata da Berlusconi e che prende le mosse da dichiarazioni rese alla stampa, si scatena un vespaio. E anche in questo caso è quel che è successo. La Lega non è intenzionata a proseguire un dibattito che vedrebbe i tre partiti maggiori della coalizione (ci sono anche i minori, non vanno dimenticati: Noi moderati, ad esempio) all’interno del Partito popolare europeo (Ppe).

Ceccanti
Stefano Ceccanti

Tra le voci più critiche nei confronti di questa prospettiva, c’è Stefano Ceccanti, intervistato da Lanfranco Palazzolo per «Radio Radicale». Ceccanti ha utilizzato il paragone della Polonia per mostrare la criticità, se non infattibilità, di questo progetto Berlusconiano-Meloniano: «In Polonia c’è uno scontro in atto tra una specie di Cln di cui fa parte Donald Tusk (Ppe) fino a Lech Walesa, che si scontrerà alle elezioni contro l’attuale governo guidato dal Pis (Partito “Diritto e Giustizia”)». Mezzo milione di persone sono scese in piazza a Varsavia nella scorsa settimana per esprimere il proprio dissenso nei confronti del Governo. La dimostrazione è stata piuttosto eterogenea, come ha sottolineato Ceccanti ai microfoni di «Radio Radicale», ma la situazione polacca potrebbe costituire un punto d’osservazione per quel che succederà nei prossimi mesi in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo.

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