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Quarantasei anni di 194: la storia della legge e il dibattito di oggi

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Quarantasei anni di 194: la storia della legge e il dibattito di oggi

46 anni di legge 194

Quarantasei anni dopo l’approvazione della legge 194, il diritto all’aborto in Italia non è mai stato così a rischio.
Ripercorriamo la storia della legge che regolamenta il diritto all’aborto in Italia. E che, secondo alcune, urge superare.

Il 22 maggio si celebra il quarantaseiesimo anniversario dell’approvazione della legge 194/1978, con cui, in Italia, si depenalizza l’interruzione di gravidanza entro i primi novanta giorni di gestazione. Non si tratta di un anniversario qualunque: è trascorso infatti appena un mese da quando il governo guidato da Giorgia Meloni ha approvato l’emendamento al decreto fondi del Pnrr (fortemente contestato dalla Commissione Europea per averne fatto uso improprio) con il quale viene di fatto permesso alle associazioni anti-abortiste di accedere ai consultori, ovvero quelle strutture gratuite istituite dalla legge 405/1975 dove è possibile svolgere colloqui, visite ginecologiche e, appunto, ottenere i certificati per abortire.

Secondo Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, l’emendamento al Pnrr è un attacco pesante alla libertà delle donne di scegliere, mentre per la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni non sarebbe altro che quellapiena applicazione della legge 194 cui fa riferimento dall’inizio del suo mandato. Nello specifico la presidente di Fratelli d’Italia allude all’articolo 2, dove viene stabilito che i consultori familiari “assistono la donna in stato di gravidanza”, la informano sui suoi diritti e possono “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza”.

L’attore che dovrebbe svolgere questa funzione sarebbe stato individuato nelle associazioni anti-abortiste che, come ampiamente documentato da diverse inchieste, propongono alle donne che ricorrono all’IVG materiale ricco di disinformazione, collegando ad esempio l’aborto all’insorgenza del cancro, e le obbligano a pratiche che poco hanno a che fare con il contenuto dell’articolo 2, come l’obbligo di ascoltare il battito cardiaco del feto prima della pratica. In questa direzione, lo scorso febbraio la onlus ultracattolica Pro Vita & Famiglia ha depositato la proposta di iniziativa popolare “Un cuore che batte”, con cui intende modificare la legge 194.

I movimenti e le associazioni contrarie alla depenalizzazione dell’IVG nascono d’altronde prima della legge: è del 1975 la fondazione del Movimento per la Vita, associazione promotrice dei due referendum che, nel 1981, chiedono l’abrogazione della 194. Solo di recente, tuttavia, i gruppi anti-abortisti hanno ricevuto riconoscimento istituzionale e soldi pubblici, come è il caso della Regione Lombardia che dal 2010 ha finanziato il fondo Nasko gestito dalle associazioni anti-abortiste e con cui si offrivano circa 160 euro al mese per 18 mesi alle donne lombarde che decidevano di rinunciare all’IVG.

Paola Stelliferi e Alessandra Gissi, autrici de L’aborto. Una storia (Carocci, 2023) mettono in luce il contesto storico in cui in Italia viene depenalizzata l’IVG: esito di un compromesso fra i partiti di sinistra e la Democrazia Cristiana, viene approvata a pochi giorni dall’assassinio di Aldo Moro. In Europa erano d’altronde già numerosi i Paesi in cui era l’aborto era legale, mentre le pratiche di auto-organizzazione del movimento delle donne, le proposte di legge cadute nel vuoto e gli appelli e le campagne dei giornali (come quella promossa dall’Espresso nel 1974) rendevano ormai necessaria una legge.

Evidenziano però le autrici: “In Italia l’impostazione della legge 194 non è legata al principio della libertà personale, né tantomeno all’autodeterminazione riproduttiva, bensì alla tutela del diritto alla salute. In fondo, il Sistema Sanitario Nazionale sarebbe stato introdotto lo stesso anno. «Le sorti della legge 194 sono strettamente legate a quelle del Ssn e a quelle dei consultori familiari istituiti nel 1975. Difendere e potenziare il Ssn significa prendersi cura anche dell’applicazione della 194, e viceversa”, continuano Stelliferi e Gissi.

Scrivevano nel 1971 le autrici del celebre volume di medicina femminista Noi e il nostro corpo, ristampato in Italia più di venti volte:Uno dei nostri primi diritti, in quanto donne, è quello di scegliere se e quando avere figli. Lo strumento migliore per operare questa scelta è la contraccezione; ma la dolorosa verità (…) è che i metodi contraccettivi non sono sufficientemente efficaci da consentirci di evitare tutte le gravidanze non desiderate. Ecco perché per molte di noi è indispensabile uno strumento di controllo della fecondità, ossia l’aborto”. Scelta, autodeterminazione, controllo del proprio corpo: temi assenti nella 194. Motivo per cui, per alcune, sarebbe ormai desueta.

Una legge da superare?

Libera di abortire è la campagna per il superamento della 194 che nasce dall’esperienza di Francesca Tolino che, nell’ottobre 2020, scopre dell’esistenza di un cimitero dei feti dove era presente una croce con il suo nome e cognome, in quanto gestante del feto abortito e seppellito senza il suo consenso. In seguito alla denuncia di Tolino, furono tantissime le donne a scoprire di essere finite in un cimitero dei feti. Nasce così l’idea di una proposta di legge, promossa da Radicali Italiani, Uaar, Ivg, ho abortito e sto benissimo e altre associazioni. Secondo le attiviste della campagna, è la 194 stessa l’ostacolo all’IVG in Italia. Va superata per la presenza degli “anti-scelta” all’interno dei consultori, per l’idea che l’aborto non sia un diritto a sé stante ma un male necessario, per la presenza degli obiettori di coscienza”, spiegano.

Aborto, l’indagine dell’Associazione Luca Coscioni

Stando a una recente indagine condotta da SWG per conto dell’Associazione Luca Coscioni, emerge che la maggioranza del campione (il 75%, ndr) si dichiara favorevole all’aborto. Di questa porzione, il 90% considera inadeguata la legge attualmente in vigore.

Per il 55% del campione è importante garantire l’accesso alla interruzione volontaria di gravidanza (IVG) farmacologica, con la possibilità di autosomministrarsi il misoprostolo a domicilio, senza necessità di un ricovero. Infatti, ancora oggi l’aborto farmacologico viene reso difficoltoso in varie Regioni, che permettono la somministrazione del secondo farmaco (misoprostolo, ndr) in regime di day hospital o previo ricovero.

46 anni di 194, la conferenza stampa alla Camera dei Deputati

Nella giornata di ieri l’Associazione Luca Coscioni ha indetto una conferenza stampa in occasione del quarantaseiesimo anniversario della Legge 194. Parola d’ordine: appropriatezza. Si dicono “inappropriati” quei “casi di ricovero ordinario o in day hospital che le strutture sanitarie possono trattare in un diverso setting assistenziale con identico beneficio per il paziente e con minore impiego di risorse”.

Ad aprire la discussione è stata la Segretaria Nazionale dell’Associazione Coscioni Filomena Gallo, che ha ricordato l’articolo 15 della Legge 194: un articolo che affida alle regioni il compito di garantire l’accesso delle donne alle tecniche più all’avanguardia per l’IVG. Sottolineando come la procedura farmacologica non sia pienamente accessibile. E, in alcuni casi, del tutto inaccessibile, come in Sicilia.

Gallo ha fatto notare come altri Paesi siano all’avanguardia, su questo fronte: in Francia è stato autorizzato l’utilizzo della pillola abortiva RU4876 fin dal 1988; nel 2022, in Norvegia le procedure di IVG sono state il 94,8, in Svezia il 96%.

La ginecologa Anna Pompili ha portato altre prove a favore della pratica farmacologica: l’auto-somministrazione del misoprostolo è raccomandata dall’OMS, la sua sicurezza è comparabile a quella di un farmaco da banco come l’ibuprofene. Secondo il Royal College non esistono ragioni per ricoverare una donna sana entro le 12 settimane di gravidanza, mentre con il ricovero ospedaliero cresce in modo significativo il rischio di contrarre infezioni.

Il regime ambulatoriale è preferito da oltre il 98% delle donne e comporta un minore spreco di risorse economiche: basti pensare ai rimborsi dispensati in caso di aborto chirurgico (intorno ai 1.099 euro) e farmacologico (460 euro). Mentre l’autosomministrazione dei farmaci abortivi è una procedura che mette la donna al centro, dandole potere sul proprio corpo e sulla propria salute.

La battaglia per il diritto ad abortire delle donne è, più in generale, una battaglia per i diritti civili: per Esmeralda Rizzi (CGIL), in tutto il mondo c’è una parte politica che aggredisce i diritti delle donne per aggredire i diritti delle persone tout-court. Rizzi ha lamentato però il fatto di vedere “pochi uomini schierati in questa battaglia: serve un senso di responsabilità anche da parte degli uomini”.

Partendo dal proprio vissuto personale, Sonia Ostrica (UIL) ha sottolineato la necessità di cacciare le associazioni anti-abortiste, la centralità dell’appropriatezza (“Non pensiamo a quanto si potrebbe risparmiare consentendo alle donne un’IVG sicura”) e il ruolo fondamentale dei consultori.

Mirella Parachini ha definito la legge 194 un “capolavoro di compromesso”, e ha sottolineato l’importanza di rimettere in discussione la legge. O, quantomeno, di applicarla, dal momento che l’articolo 9 prevede che l’ente ospedaliero debba garantire in ogni caso l’intervento abortivo e questo, in molti casi, non avviene.

Ha poi presentato la petizione ICE My Voice My Choice sul tema promossa dai cittadini europei che necessita di un milione di firme.

46 anni di 194

Conferenza stampa, il punto di vista delle politiche sulla 194

Alla conferenza sono intervenute anche alcune protagoniste della sfera politica. La prima è stata la deputata Giulia Pastorella (Azione), che ha spiegato perché è importante portare il tema dell’aborto in Europa, facendolo diventare un diritto: “Per evitare di retrocedere, come hanno fatto tanti Paesi“.

La senatrice Cecilia D’Elia, che proprio ieri mattina ha depositato un’interrogazione parlamentare sul tema, ha espresso preoccupazione. Soprattutto per le giovanissime che ancora incontrano difficoltà per abortire. E ha ricordato come in Italia si sia dovuto aspettare il 2020, e la minaccia del COVID, per incentivare la pratica dell’aborto farmacologico senza ricovero ospedaliero.

La deputata Gilda Sportiello ha portato l’attenzione sul fatto che le donne che decidono di abortire siano sempre obbligate a giustificarsi, a causa della perpetua colpevolizzazione. Sportiello ha menzionato tre proposte per migliorare la situazione: inserire il diritto all’aborto nella Costituzione Italiana, selezionare accuratamente il personale da inserire nelle strutture alle quali ci si rivolge per l’IGV e al contempo impedire alle associazioni anti-abortiste di presidiare queste strutture e di contattare le utenti. Infine, un monitoraggio costante nelle strutture e l’istituzione di un numero verde dedicato.

La femminista storica Luana Zanella, deputata di Verdi e Sinistra, ha parlato dell’importanza di discutere trasversalmente del tema: “Dobbiamo avere una forza di coagulo, soprattutto le donne della destra e del mondo cattolico. Dobbiamo trovare la trasversalità trovata in altri campi, come la lotta alla violenza”. E ha ricordato che le semplici proposte di legge non bastano: “Sono testimonianze, ma non producono mutamento normativo”.

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