Marco Piccinelli

Tutto e subito, l’illusione del governo Meloni (e non solo)

Tutto e subito, l’illusione del governo Meloni (e non solo)

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L’eco delle parole del ministro della difesa Guido Crosetto riguardo la magistratura risuona ancora sia nel governo Meloni, sia fuori dal Palazzo. L’intervista del 26 novembre pubblicata dal «Corriere della sera» al ministro della difesa ha indubbiamente rievocato litanie che sembravano sopite: la magistratura politicizzata parrebbe rappresentare il vero problema dell’esecutivo Meloni.

Esisterebbe una parte della magistratura che sarebbe «all’opera per fermare la “deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni”» proprio a ridosso della tornata elettorale europea. Si sarebbe nuovamente messa in moto quella che negli anni del berlusconismo era stata chiamata la giustizia ad orologeria. Dunque le “toghe rosse”, la “magistratura politicizzata” e via dicendo.

Da una manciata di giorni, da parte politica e da parte dell’opinione pubblica, si sta elaborando le parole di Crosetto e la conseguente reazione dell’Associazione nazionale magistrati. Il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha ribadito che la rappresentazione della magistratura emersa dalle parole del ministro è «grottesca». A parte le richieste di intervento in aula da parte del Partito democratico e di Verdi-Sinistra italiana, le dichiarazioni parrebbero aver ricompattato il fronte della maggioranza.

Separazione delle carriere

Forza Italia riceve questo inatteso regalo da parte del rappresentante del Viminale e coglie l’occasione per tornare all’attacco col cavallo di battaglia di sempre: la separazione delle carriere.
Non importa che tutti i referendum a riguardo siano stati bocciati dagli elettori nel corso dell’ultimo decennio, non da ultimo il tentativo congiunto dei cinque quesiti proposti dal comitato promotore organizzato da Partito radicale transnazionale transpartito (ma non Radicali italiani) di Maurizio Turco e Lega di Matteo Salvini. D’altra parte il clima tra Governo e Anm non è dei migliori: già dall’inizio di gennaio Silvio Berlusconi ebbe a dichiarare – a proposito delle iniziative del guardasigilli riguardo le intercettazioni – che l’obiettivo non era il «conflitto tra politica e magistratura» ma proporre riforme per il cittadino. Tuttavia: «[le iniziative del Governo] incontrano l’ostilità di alcuni settori politicizzati della magistratura, alcuni di questi magistrati sono passati direttamente dai loro uffici giudiziari alle aule del Parlamento nelle fila dei 5 stelle».

Giustizia e presidenzialismo

Nelle intenzioni del Governo la riforma della giustizia dovrebbe essere sì portata avanti con caparbietà ma solo dopo la «madre di tutte le riforme che si possono fare in Italia», ovvero arrivare all’elezione diretta del Presidente del consiglio modificando la Costituzione (alias, riforma in senso presidenziale). Il dibattito in essere è portato avanti in duplice senso: l’urgenza di condurre parallelamente le due modifiche e i due progetti di riforma (giustizia e Costituzione) non sono da scindersi, secondo le forze di Governo e secondo la stampa vicina all’esecutivo Meloni. Tutto e subito. Una nenia che accompagna gli esecutivi da un decennio, tanto quanto l’urgenza – in ordine sparso – di porre mano a: sistema elettorale, Costituzione, giustizia. Affinché si mantenga lo status quo è giusto che qualcosa si modifichi, lo scriveva anche Tomasi da Lampedusa nel Gattopoardo. L’urgenza con cui muoversi è funzionale al progetto e utile a mostrarsi attivi nei confronti dei mercati che valuteranno azioni (ma anche intenzioni). Le agenzie di rating sono alle porte e basta una tripla B per far sì che il sistema vacilli.
In tutto questo l’opposizione risulta essere non pervenuta. Se da una parte Verdi e Sinistra italiana vengono additate come forze conservatrici della Costituzione, dall’altra Dario Franceschini (e la sua area di riferimento all’interno del Partito democratico) parrebbe intenzionato a dialogare con il governo sulla modifica in senso semi-presidenziale: «non possiamo dire solo no».
Un gioco al ribasso e una aprioristica resa pur di partecipare ad un dibattito tossico.

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