Elezioni europee: undici liste al via. Anzi no: sono dodici

Elezioni europee: undici liste al via. Anzi no: sono dodici

Cinque macro-regioni
Le circoscrizioni in cui è divisa l’Italia per questa tornata elettorale sono cinque: la prima comprende le regioni del nord ovest (Piemonte, Val d’Aosta, Liguria e Lombardia); la seconda le regioni del nord est (Veneto, Trentino-Alto Adige/SudTirol, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna); la terza quelle del centro italia (Toscana, Umbria, Marche, Lazio); la quarta quelle del sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria); la quinta raggruppa le isole di Sicilia e Sardegna. Si vota con sistema elettorale proporzionale con sbarramento al 4%.

Quali sono le liste in campo?
Vale la pena fare chiarezza su questo punto. La nuova normativa prodotta in conseguenza del decreto elezioni del Governo Meloni ha fatto sì che le liste collegate con raggruppamenti politici europei non potessero più essere esenti dalla raccolta delle firme. Questo ha fatto sì che per la prima volta ci saranno delle organizzazioni politiche che ambiscono ad essere considerate a carattere nazionale che saranno presenti in una sola circoscrizione. Caratteristica che è tipica delle liste regionali come il Südtiroler Volkspartei in Trentino-Alto Adige/SudTirol o le liste indipendentiste sarde o autonomiste valdostane.

Le liste che si presenteranno in tutta Italia, dunque in tutte e cinque le circoscrizioni, sono le seguenti: Lega – Salvini Premier, Pace terra dignità, Forza Italia – PPE, Alternativa Popolare, Azione-Calenda, Libertà-Cateno de Luca, Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra (Europa Verde – Sinistra Italiana) e Stati uniti d’Europa.

Le liste che costituiranno l’eccezione sono: Partito Animalista-ItalExit (circoscrizione sud Italia), Democrazia Sovrana e popolare (circoscrizione centro Italia), Südtiroler Volkspartei (presente nella seconda circoscrizione) e la lista Rassemblement Valdotaine (presente nella prima circoscrizione).

Perché questa confusione sulle liste?
La nuova normativa prodotta in conseguenza del decreto elezioni del Governo Meloni, così come convertito dal Parlamento, ha prodotto una presenza disomogenea delle liste, dato che saranno 12 in tre circoscrizioni e 11 in due: «una condizione non nuova, già presente nel 2019 quando il movimento Partito pensiero azione (Ppa-popolo partite IVA) di Antonio Piarulli aveva tentato la strada di presentarsi sostenendo di non dover raccogliere le firme: la sua tesi fu accolta in una sola circoscrizione e dunque la lista finì solo sulle schede del Nord-Est», ha dichiarato a «L’Atlante» Gabriele Maestri, già docente all’Università di Roma Tre, autore di saggi su storia e simbologia dei partiti politici, curatore del blog isimbolidelladiscordia.it. «All’origine della presenza disomogenea delle liste c’è la volontà di ridurre l’ipotesi dell’esenzione dalla raccolta firme», ha proseguito Maestri. In breve, un emendamento di Fdi al decreto, per «superare precedenti ambiguità interpretative» ha deciso che non fosse più sufficiente: «la mera affiliazione o il collegamento concordato con un partito politico europeo rappresentato nel Parlamento europeo con un proprio gruppo». I partiti italiani che non avevano propri eletti alle Camere e non avevano ottenuto europarlamentari nel 2019, dunque, dovevano raccogliere le firme; poi il numero di sottoscrizioni è stato dimezzato, ma bisognava pur sempre raccoglierle. «L’intervento del Governo – ha dichiarato Maestri – ha portato, in sostanza, a un inasprimento in corso d’opera delle regole per presentarsi alle europee».

Referendum?
C’è poi la questione referendum, che rientra perfettamente in questo scenario. Non c’è nessuna tornata elettorale referendaria alle porte, ma da tempo sia la Presidente del Consiglio (e leader di Fratelli d’Italia) che la segretaria del Partito democratico, nonché le altre opposizioni, stanno agitando la questione. Lo ha ribadito Meloni dal palco di Piazza del Popolo a Roma, in occasione della chiusura della campagna elettorale di Fratelli d’Italia. Le elezioni europee rappresentano «un referendum fra due visioni opposte: da una parte un’Europa ideologica, centralista, nichilista, sempre più tecnocratica […] dall’altra la nostra Europa, coraggiosa, fiera, che non dimentica le sue radici perché definiscono chi siamo, ci aiutano a orientarci nel buio della paura».
Eppure Meloni stessa ha sempre cercato l’intesa con la presidente uscente della commissione e, anzi, ha ribadito in più occasioni (anche ribadendo il concetto grazie al libro di Sallusti):
«[Von der Leyen] lavora molto e sa ascoltare, non è difficile collaborare con lei. Poi, certo, tenere tutto insieme non deve essere facile. Il governo europeo è una costante mediazione tra le indicazioni dei singoli governi e gli equilibri politici che si impongono al Parlamento europeo».

Dote avvelenata
La posta in gioco, come viene chiamata da opposizione e maggioranza, non è la visione europea contrastante tra rappresentanti politici ma il peso specifico delle liste che concorreranno da sole e non in coalizione. In questo senso l’espressione prima citata è un chiaro riferimento non già all’ambito politico quanto all’azzardo. D’altronde ipotizzare percentuali sulla base di sondaggi politico-elettorali è già di per sé una scommessa alla roulette. Al netto delle percentuali che saranno in grado di raggiungere i partiti, nonché di tutti i discorsi conseguenti sulla tenuta del Governo, va detto che si sta reiterando il fantasma del famigerato 40% alle elezioni europee che fu narcisisticamente velenoso per Matteo Renzi e il Partito democratico, di cui allora era segretario.
La questione del referendum è tra leader (altro che «due visioni d’Europa contrapposte») e dunque tra quello che sarà la dote avvelenata di questa tornata elettorale europea: l’estrema polarizzazione (dunque personalizzazione) delle candidature e della proposta politica italiana passa anche e soprattutto attraverso la obbligata scelta binaria: con me o contro di me. Che è poi l’essenza stessa del sogno presidenzialista di Meloni, di Fratelli d’Italia e della destra al governo (ma che non spiace nemmeno a settori del Partito democratico). Non sarebbe stato necessario, altrimenti, per i segretari e presidenti di partito candidarsi in cima alle liste di tutte le circoscrizioni. Non sarebbe stato necessario neanche registrarsi come ‘detta Giorgia’, d’altra parte.

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Foto di Marco Oriolesi su Unsplash