Elezioni politiche spagnole: un’intervista con la politologa e giornalista Estefanía Molina

Elezioni politiche spagnole: un’intervista con la politologa e giornalista Estefanía Molina

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I risultati delle elezioni politiche spagnole del 23 luglio hanno lasciato il paese, e coloro che lo guardano da ovunque nel mondo, in uno stato di sorpresa: una sorpresa piena di sollievo per chi è di sinistra, e una piena di rabbia e frustrazione per chi è di destra. Infatti, a soltanto un paio di mesi dalle elezioni regionali che hanno dato risultati nettamente positivi alla destra spagnola, e con la maggior parte dei sondaggi a confermare uno scenario simile a livello nazionale, il Partito Popolare, la destra egemonica spagnola, si vedeva già vincitore. Queste elezioni in Spagna, però, anticipate dal leader del Partito Socialista Operaio Spagnolo e attuale presidente del Governo Pedro Sánchez dopo i risultati regionali, non hanno dato alla destra i numeri sufficienti per formare un Governo: i 137 seggi ottenuti dal PP, insieme ai 33 dell’estrema destra di Vox non raggiungono la maggioranza necessaria di 176, e la quasi totale mancanza di altri appoggi rende la somma impossibile. D’altra parte, la sinistra, ora al Governo in coalizione, potrebbe, con l’appoggio di vari partiti che hanno manifestato il loro potenziale appoggio, arrivare ai 171 seggi.

Indubbiamente, questi risultati ci mettono davanti a una situazione frammentata, ma nella quale sembra che lo sviluppo meno improbabile sia il rinnovo dell’attuale Governo di centrosinistra. Per analizzare tutte le dinamiche dietro a questi numeri, parliamo con la politologa e giornalista Estefanía Molina, autrice e giornalista del prestigioso giornale spagnolo El País e analizza la politica per vari media, inclusa la televisione pubblica spagnola.

 

Guardando questi risultati: che previsioni ci dai per la formazione di un Governo e dei vari blocchi politici per i prossimi quattro anni? Ti sorprendono i risultati di queste elezioni politiche?

 

La via più facile per formare un Governo è il ritorno alla coalizione attuale, cioè rieditare il vecchio ‘Frankenstein’. Questa coalizione ha, però, bisogno di essere ampliata: deve ottenere non solo l’appoggio, già avuto in varie occasioni, del PNV (il partito conservatore nazionalista dei Paesi Baschi), Bildu (il partito di sinistra indipendentista dei Paesi Baschi), o Esquerra Republicana (una delle sinistre indipendentiste catalane), ma anche di quello di Junts per Catalunya (il partito conservatore e nazionalista catalano). La questione è quali siano le esigenze di quest’ultimo.

 

Esquerra, per esempio, ha perso tantissimi voti: gli indulti da parte di Sánchez ai loro leader politici hanno pacificato la Catalogna, ma non ha ottenuto la possibilità di fare un referendum riguardo l’appartenenza allo Stato spagnolo. Questo non soddisfa chi vuole l’indipendenza. Se Junts chiedesse l’indulto di un altro leader indipendentista, Puigdemont (o comunque fare dei passi in avanti in termini di questo tipo di repressione politica), come condizione per facilitare un nuovo Governo di Sánchez in coalizione con la sinistra, sarebbe un problema per loro e li metterebbe in una situazione simile a quella di Esquerra. I votanti indipendentisti sarebbero comunque insoddisfatti del fatto che si desse priorità solo alla classe politica.

 

Nonostante ciò, questa sembra essere la via più probabile: che il Partito Popolare, vincitore delle elezioni, insieme a Vox, PNV, UPN (partito, conservatore, di unione del popolo della Navarra) e Coalición Canaria (centrodestra delle Isole Canarie), costituiscano un Governo è inverosimile. Quest’ultimo, per esempio, non si sente comodo accanto a, in un certo senso, una coalizione che includa Vox, e il PNV, che sarebbe chiave per le possibilità del PP, è a un anno dalle elezioni regionali basche, il che rende per loro molto problematico dare appoggio al PP, in qualunque maniera. Per loro sarebbe un disastro: avere qualunque connessione con Vox darebbe piede a fortissime critiche.

 

Inoltre, il ‘Frankenstein’ di Sánchez è adesso legittimato dai risultati elettorali: la destra ha sempre criticato che Sánchez non aveva confessato i patti che avrebbe stabilito con gli indipendentisti, che riceverebbe appoggi da Bildu, o che avrebbe concesso l’indulto ai leader indipendentisti catalani. Ora, però, la gente ha votato sapendo pienamente che questo succederà di conseguenza, quindi non si possono in nessun modo qualificare queste alleanze come un insulto.

 

Molti spagnoli credono che la destra della Spagna abbia un certo grado di eccezionalità paragonata, ad esempio, alle altre destre europee. Un’eccezionalità in senso negativo. Credi che l’attuale blocco di destra spagnolo sia, in realtà, così diverso da, per esempio, la destra italiana? Osservi molte similitudini tra i due paesi?

 

Il grado dell’eccezionalità della destra, e l’estrema destra, spagnole ha a che fare con come, al contrario di altri paesi dove questa si nutre di radici nazionalsocialiste o fasciste, ha le sue origini specificamente nella dittatura franchista: è mancata una separazione con questa. In Spagna, il Partito Popolare fu fondato, indirettamente, da ministri franchisti: Fraga, per esempio, era un ministro franchista. In origine il partito si chiamava Alianza Popular (Alleanza Popolare). Manca una condanna netta del passato, infatti ci basiamo ancora molto su quest’idea dei due lati della guerra civile. Nel nostro Paese, la gente vede il franchismo come uno dei due bandi della guerra civile, la gente non pensa alla guerra civile e alla dittatura separatamente.

 

Tutti i componenti che, in altri tipi di fascismi o nazionalsocialismi, si appellano più direttamente al popolo, non sono così tanto presenti. La nostra destra è più nutrita dall’autoritarismo, da una mancanza di comprensione della territorialità, il che, infatti, ha prodotto i risultati per lei negativi di queste elezioni politiche. La ragione per la quale Pedro Sánchez è in realtà il vincitore di queste elezioni e ha la possibilità di governare è grazie all’esistenza, in realtà, dei partiti plurinazionali che non vogliono avere niente a che fare con l’attuale destra spagnola, che è escludente. Emerge sempre quest’idea dell’ ‘antispagna’, dei ‘nemici della Spagna’, il che proviene dalle espressioni del franchismo.

 

Bisogna anche segnalare gli aspetti legati all’opinione pubblica. In altri paesi, l’opinione pubblica democratica si costruisce in opposizione al fascismo, ma in Spagna c’è una certa continuità: la transizione del 1978 lasciò quella continuità nella quale in molti non hanno nessuna vergogna riguardo le loro posizioni politiche. Per esempio, Vox dice apertamente che il Governo in coalizione di Sánchez è il peggiore degli ultimi ottant’anni, un messaggio con chiare implicazioni.

 

In Spagna si dà anche per scontato che la memoria democratica sia una cosa riguardante solo la sinistra. In altri paesi questo è un po’ diverso: la condanna dei loro fascismi o dittature varie, anche se ci mette fin troppo ad arrivare, e più chiara.

 

Vox è una specie di escissione del PP venuta male: porta avanti l’idea di una destra più dura, ma poi gli si aggiungono un’estetica, un marketing che viene dall’estrema destra statunitense ed europea. Ma in realtà non sono un partito nettamente definito, come quelli italiani o tedeschi, o almeno non più in là della loro eredità franchista ed altri mantra che sono una continuazione del passato.

 

Quale credi sia stato il ruolo di Yolanda Díaz e di Sumar in queste elezioni e quale pensi che sarà in questi quattro anni? Fino a che punto, a tuo avviso, dà inizio ad una nuova fase della sinistra spagnola incentrata, in stile Bernie Sanders, sul laburismo e le questioni più concrete?

 

Il ruolo di Sumar è stato quello di unire sotto il suo progetto tutti i gruppi della sinistra che si presentassero alle elezioni politiche come modo per ottenere più seggi possibili, cosa che era importantissima in questo momento. La mia opinione è che la sinistra alternativa, dopo aver governato insieme a Pedro Sánchez, si è bruciata, ha perso il senso di essere antisistema. È pienamente istituzionalizzata, tra gli altri fattori. In momenti difficili per la sinistra alternativa, che non offre più una condanna al sistema, perche non condanna più la monarchia come nel 2015, che non parla più di plurinazionalità come prima, e che ha avuto, alla fin fine, flessibilità nella politica economica, Sumar è in gran parte un metodo per unire i voti e non perdere dei seggi.

 

Inoltre, Sumar vuole essere una sinistra post-15M. Il 15M vide condannata la monarchia, la territorialità spagnola, la situazione economica del Paese, questioni che adesso non sono realmente aperte. Yolanda Díaz non ha ‘ucciso’ il 15M come dicono: era già morto. Sumar rappresenta una sinistra più pragmatica, più materialista, più laburista.

 

Una critica che ha ricevuto da un’altra parte della sinistra è di non difendere sufficientemente, per esempio, la Legge Trans. È una sinistra più incentrata sulle questioni materiali ed economiche che in quelle dei diritti e delle libertà. Sembra che gli aspetti del femminismo, trans, eccetera, fossero più centrali per Podemos, come lo era tutto ciò relativo a mettere in questione le istituzioni dello Stato: Podemos, per esempio, fa una fortissima critica della Giustizia spagnola, eccetera, mentre, probabilmente, non vedremo Sumar mettere a fuoco questi elementi più apertamente antisistema. Possiamo dire, comunque sia, che Sumar con la sua strategia è riuscito ad ottenere dei risultati abbastanza buoni.

 

Secondo te, gli spagnoli stiamo dando certe cose per impossibili? Lo sono?

 

Gli spagnoli non abbandonano delle lotte pensando che siano impossibili da vincere, ci sono sempre porte che si aprono. Per esempio, i diritti nel mondo del lavoro: sembrava che con la crisi economica la gente si era abituata a vivere con meno diritti, e invece questo Governo ha recuperato molte questioni su questo campo. Per esempio, la riforma del lavoro, anche se non così aggressiva come sarebbe potuta essere, ha generato un considerabile cambiamento in positivo.

 

Direi che ci sono diversi cicli. Il femminismo non era egemonico e poi lo è diventato, adesso ne viene uno nel quale l’estrema destra ci porta a l’involuzione in quel campo. Lo stesso accade nell’ambito del lavoro: la crisi tolse molti diritti che adesso stiamo recuperando. E come questi tanti atri elementi: l’ecologia, il clima, per esempio, sono importantissimi per le generazioni più giovani. Ci sono come onde, nella società, ma quando c’è un’involuzione poi si fanno dei passi in avanti, così come l’andare in avanti trova ogni volta chi ci vuole rimandare indietro.

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