Giorgia Trasciani

L’arte salverà il mondo! E chi salverà l’arte?

L’arte salverà il mondo! E chi salverà l’arte?

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Dalle rivolte nei cinema di Bruxelles alle nuove restrizioni per i luoghi dell’arte e della cultura. Una ricognizione sulla situazione belga. « L’art souvera le monde ! » gridavano i manifestanti citando Dostoevskij, riempiendo le strade di Parigi e urlando la propria rabbia contro la decisione di chiudere i luoghi di cultura, poco più di un anno fa. A un anno di distanza, dopo le riaperture a singhiozzo, i milioni spesi dalle strutture per adeguarsi alle misure sanitarie, sanificazioni e restrizioni di diverso ordine, le sale rischiano di richiudere lo stesso. É ciò che sta già succedendo in mezza Europa al fine di limitare i contatti sociali. Prima la Danimarca, seguita dall’Olanda, che il 17 dicembre decide di sacrificare tutti i “commerci non essenziali”. Il 26 dicembre è stata la volta del Belgio, che fatta eccezione per i musei che possono rimanere aperti, cerca di chiudere la cultura.

La reazione non si è fatta attendere in uno dei paesi d’ Europa dove il settore culturale più si è mobilitato contro questo genere di trattamento. #StillStanding For Culture aveva fatto scendere in piazza migliaia di artisti, con più di 300 azioni in centinaia di città del Belgio. E ancora una volta il 26 dicembre 2021, i lavoratori, accompagnati dai sostenitori della cultura hanno manifestato. In una piovosa domenica pomeriggio al Mont des Arts di Bruxelles, si sono mobilitati contro la chiusura delle attività culturali al chiuso. E la “désobéissance culturelle” si sta organizzando. Dall’annuncio delle misure, mercoledì 22 dicembre, gli annunci di “résistance” si sono moltiplicati. Per il momento, 81 luoghi di cultura rimangono aperti nel Belgio francofono. Si tratta di cinema e teatri che hanno deciso di mantenere le date che avevano programmato.

La decisione divide anche le istituzioni. Se il comitato di concertazione – CODECO – è pienamente appoggiato dal ministero e dalle istituzioni centrali, alcune autorità locali si dissociano, annunciando che i controlli di applicazione della decisione non verranno effettuati. E così gli agenti di polizia nella zona di Bruxelles-Ixelles non effettuano alcun controllo nei cinema che decidono di rimanere aperti questa domenica, mentre i cinema Galeries, Kinograph, Palace e Vendôme decidono a loro volta di non rispettare le istruzioni del governo e di rimanere aperti. Una “rivoluzione compiuta” potrebbe dire Thoreau, la persona soggetta ha rifiutato obbedienza, e il pubblico ufficiale non ha dato seguito all’incarico.

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©Belga Photo Laurie Dieffembacq

Una disobbedienza civile che prende forza dalle contraddizioni che caratterizzano le scelte politiche, non da ultima l’idea che l’arte venga definita come “attività non essenziale”. Viene in effetti da chiedersi se si vogliano limitare i contatti sociali di ogni genere, o se il trattamento è differenziato sulla base del tipo di scambio che intercorre tra le persone. Mentre i centri commerciali e i negozi si affollano per gli ultimi tardivi acquisti natalizi, cinema, teatri, sale da concerto (queste ultime non hanno praticamente mai riaperto) rimangono vuote. Ancora una volta la logica di mercato, come la definirebbe Polanyi, domina, e ha la precedenza sulle altre e in particolare sulla reciprocità. Se tutto è mercato e l’intera complessità sociale si riduce esclusivamente all’aspetto produttivo, è stata proprio la pandemia a dimostrarci che attraverso la reciprocità e il dono (le collette alimentari, i volontari che portavano i medicinali a chi era malato chiuso in casa, gli involontariamente volontari della sanità che hanno fatto turni infiniti) è stato possibile resistere, è stato possibile per un istante pensare che tutto sarebbe potuto cambiare e che un’altra società poteva essere immaginata. La cultura non è solo un settore produttivo, non è solo uno svago. È parte integrante della nostra democrazia, e del nostro stare insieme. È forma di espressione e di umanità, “è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri” (Gramsci).

Per riprendere Marcuse, in una società privata della cultura l’immaginario umano si definisce nel perimetro dell’alienazione. L’uomo riesce allora ad immaginare solo nei limiti della ripetizione del visto e sperimentato. Il libero gioco dell’immaginazione creativa, fonte inesauribile di possibilità, viene confinato dal principio di prestazione, di cui è chiamato a rinforzare i valori. Forse allora è solo salvando la cultura dalla mercificazione, che salveremo noi stessi. Attraverso una strategia di rilancio basata su nuove modalità di supporto a tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore, alla micro e piccola impresa culturale, attraverso una diversificazione di interventi che sia attenta al territorio e che promuova l’accesso alla cultura, nei luoghi dove non è mai arrivata e dove ce n’è oggi ancor più bisogno, al fine di alimentare un immaginario nuovo.

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