Congo, l’inspiegabile golpe

Congo, l’inspiegabile golpe

@mosessawasawa

Il 19 maggio, una domenica come le altre, Kinshasa, la capitale della Repubblica democratica del Congo (Rdc), si è svegliata con il suono inusuale delle raffiche di mitra. All’alba un commando di una cinquantina di uomini, come riportano fonti delle forze di sicurezza congolesi, ha attaccato la residenza del candidato alla presidenza dell’Assemblea nazionale Vital Kamerhe, primo obbiettivo di un tentato colpo di Stato. Il ministro e la sua famiglia sono rimasti illesi, ma hanno perso la vita due poliziotti a guardia dell’abitazione. Gli uomini, armati e in mimetica, hanno proseguito la loro scorribanda nel centrale quartiere di Gombe,  dove si trovano le ambasciate e i palazzi governativi, fino ad arrivare al Palais de la Nation, sede degli uffici della presidenza della Rdc. A questo punto le forze di sicurezza congolesi hanno fermato l’avanzata dello sgangherato commando, che prima di essere definitivamente messo fuori gioco è riuscito a issare la bandiera dello Zaire, nome della Rdc sotto la dittatura di Mobutu Sese Seko, sul pennone del Palais de la Nation. «Il tentativo di golpe è stato stroncato sul nascere dalle forze di difesa e di sicurezza. Questo tentativo ha coinvolto stranieri e congolesi, che sono stati tutti resi incapaci di nuocere, compreso il loro leader», ha dichiarato, nella tarda mattinata di domenica, alla tv nazionale RTNC, il generale Sylvain Ekenge, portavoce dell’esercito congolese. Il ripristino dell’ordine da parte delle forze di sicurezza è durato alcune ore durante le quali il governo del confinante Congo ha fatto sapere che è stato lanciato un missile da Kinshasa verso Brazville sulla sponda opposta del fiume, dove non sono state registrate uccisioni. Alla fine della giornata si parla di una decina di morti tra le fila dei golpisti e tra le forze di sicurezza e di una quarantina di arresti, tra i quali spiccano alcuni cittadini americani.

Il commando golpista era guidato da Christian Malanga Musumari, congolese con cittadinanza americana e presidente del Partito congolese Unito (Pcu), registrato negli Stati Uniti, e che nel tempo ha guadagnato popolarità tra i congolesi della diaspora. Malanga è arrivato negli Stati Uniti come rifugiato nel 1998. Nel 2006 è tornato in Rdc dove si è arruolato nell’esercito congolese fino a raggiungere il grado di capitano. Nel 2011 ha deciso di correre per le elezioni della Rdc in opposizione a Joseph Kabila, ma prima del voto venne arrestato. Ritornato negli Usa nel 2012, nel 2017 Malanga fonda a Bruxelles il movimento «New Zaire». Da sempre molto attivo sui social, Malanga è apparso in diversi video dove accusava il presidente congolese Tshisekedi di aver fallito nella guida della Rdc. L’ultimo video postato è stato quello di quella assurda mattina, prima di essere ucciso dalle forze armate di Kinshasa, dove ha rinnovato le accuse di corruzione e mala gestione dello stato al presidente Tshisekedi, mentre sullo sfondo uomini in mimetica sostituivano la bandiera azzurra della Rdc con quella verde zairese.

Ma Malanga non è stato l’unico cittadino con passaporto americano che ha preso parte al tentato golpe. Infatti, a detta di Ekenge, sarebbero stati fermati altri tre uomini con documenti statunitensi, e fonti non confermate parlano anche della presenza di altri due con passaporto inglese e uno canadese. A ridosso dell’arresto, avvenuto sulle sponde del fume Congo mentre i golpisti provavano a scappare a nuoto, sono state rese note le identità di due cittadini americani che hanno preso parte all’azione militare. Uno è il figlio del leader del commando, Marcel Malanga, l’altro invece è Benjamin Reuben Zalman-Polun, cittadino americano di 36 anni. Martedì scorso poi è stato reso noto il nome del terzo statunitense facente parte del commando, Taylor Thomson. La matrigna di Thomson, contattata da Ap qualche giorno dopo l’arresto del figliastro, ha detto di essere rimasta  «sbalordita, non ho idea di come sia rimasto coinvolto in tutto questo. Siamo certi che non sia andato in Africa con progetti politici». Reuben e Malanga senior invece sembra si siano conosciti nel 2022 quando hanno aperto diverse società di estrazione mineraria nel nord del Mozambico, nella ricca e devastata provincia di Capo Delgado. Insieme ai due golpisti compare come socio di queste società, Bantu Mining Company Lda., CCB Mining Solution Lda. e Global Solution Moçambique Lda., un altro cittadino americano, Cole Ducey. Quest’ultimo, contattato da Ap il giorno dopo il tentato golpe, ha dichiarato di non avere contatti con Malanga e Rueben da due anni e che non ha nulla a che fare con quello che è successo il 19 in Rdc. L’istituto nazionale minerario del Mozambico (Inami) ha fatto sapere che le società in questione non hanno alcuna concessione mineraria. Queste società esistono sulla carta e i loro statuti, pubblicati nella gazzetta ufficiale, il “Boletim da Republica”, affermano che sarebbero attive nei settori minerario, edilizio, della sicurezza, dell’istruzione e della sanità, soprattutto nella provincia settentrionale di Cabo Delgado.

Secondo alcune testate africane come Afrique media, emittente vicina a Mosca e con un accordo di partnership con Russia today, i cittadini americani coinvolti nel tentato colpo di Stato sarebbero degli agenti di Washington  mandati con l’intento di destabilizzare le nazioni dell’Africa centrale. A ridosso dell’attacco del commando golpista però l’ambasciatrice americana a Kinshasa, Lucy Tamlyn, ha subito messo in chiaro che gli Stati Uniti coopereranno pienamente con le autorità congolesi e riterranno responsabili tutti i cittadini statunitensi coinvolti. Alle dichiarazioni di Tamlyn sono seguite quelle del segretario di Stato americano Antony Blinken, che in una telefonata con il presidente Tshisekedi, ha offerto aiuto da parte degli Stati Uniti nelle indagini.

Se è vero che un coinvolgimento attivo delle forze statunitensi nel tentato colpo di stato sembrerebbe solo un’illazione, è anche vero che la  figura di Rueben però desta non pochi dubbi. Infatti il 36enne americano, oltre ad essere presente domenica mattina a Kinshasa e ad avere interessi nella regione di Capo Delgado in Mozambico, dove la Exxon mobile, compagnia petrolifera americana, ha la concessione per l’estrazione di gas, nel 2014 è stato arrestato negli Usa per spaccio di marijuana. Accusa che ha portato Rueben a scontare qualche settimana in carcere e una volta fuori le carte processuali sono state secretate e quindi non consultabili. Questo ha portato diversi analisti a dare due opzioni sulla persona di Rueben: la prima è che abbia deciso di collaborare con la Fbi per ridurre la sua pena, la seconda è che fosse già un agente sul campo dell’agenzia di intelligence americana.

A una settimana dal tentato colpo di Stato rimangono più domande che risposte. Peter Kazadi, vice primo ministro responsabile del ministero degli Interni e della Sicurezza, ha affermato che i golpisti  «provenivano dall’Angola per entrare nel Congo Centrale con l’aiuto di complici nella Rdc». Tesi che a ridosso del fallito golpe aveva sostenuto anche  Dino Mahtani, che ha lavorato in Congo per anni come giornalista e poi consigliere politico delle Nazioni Unite tra il 2015 e il 2018. Secondo Mhatani  Malanga è stato ingannato o tradito, ma manca la sicurezza su chi possa avergli voltato le spalle, «potrebbero essere cospiratori esterni, ma c’è anche la possibilità che il complotto fosse noto a personalità importanti dell’esercito congolese nel quale Malanga ha militato» ha dichiarato ad Ap  Mahtani. Ciò che rimane sicuro è che un manipolo di pochi uomini difficilmente poteva pensare di prendere il potere con un colpo di mano in Rdc.

Gli arrestati, ora a Kinshasa, aspettano la data per comparire in tribunale, che però ancora non è stata fornita dagli inquirenti congolesi. I golpisti rischiano la pena di morte, nuovamente istituita da Tshisekedi e applicabile proprio a chi attacca le istituzioni dello Stato. Il fallito golpe arriva in un momento delicato per l’esecutivo della Rdc che sta lottando per frenare l’offensiva dei ribelli sostenuti dal Ruanda nel Congo orientale, che minaccia di sfociare in un conflitto più ampio.  Ma anche sul piano politico la situazione era, qualche giorno prima del tentato colpo di Stato, molto complicata non essendoci, a 5 mesi dalla rielezione di Tshisekedi,  un governo formato. «Non esiterò a sciogliere l’Assemblea nazionale e a mandare tutti a nuove elezioni se questa situazione dovesse persistere» aveva dichiarato Tshisekedi due giorni prima del 19 maggio. Però a metà della scorsa settimana Kamerhe è stato eletto presidente dell’Assemblea nazionale, dando la possibilità di superare l’impasse e formare finalmente un governo.

Che la scossa di domenica 19 abbia aiutato l’esecutivo a unire il fronte politico è possibile, ma rimane il gesto folle di 50 uomini, ad oggi difficilmente spiegabile.

Congo

 

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Foto di Javier Collarte su Unsplash