Giulia Bucelli

Anziani in Giappone: forza lavoro o parassiti sociali?

Anziani in Giappone: forza lavoro o parassiti sociali?

Giappone anziani

Questa domanda può sembrare provocatoria, eppure non lo è: il Giappone si trova a fronteggiare un’emergenza anziani senza precedenti.

Nel Paese del Sol Levante, infatti, gli ultracentenari hanno raggiunto un numero record. Di contro, il numero delle nuove nascite continua a calare di anno in anno, da qui l’emergenza.

Ma diamo un’occhiata ai numeri per chiarire meglio qual è la situazione: in Giappone ma anche in Italia.

La longevità in Giappone: i dati

Nel Paese, già nel 2022, il 29,9% della popolazione aveva superato i 65 anni di età. Si stima che, entro il 2050, questa percentuale sarà aumentata fino a raggiungere una quota del 40%. La tendenza non riguarda solo il Giappone, ma anche altri Paesi asiatici (Hong Kong e Corea del Sud) e anche noi, come scopriremo alla fine di questo articolo.

In Giappone il dato più sorprendente riguarda il numero di centenari, in crescita per il cinquantatreesimo anno consecutivo: 1.613 persone in più rispetto al 2022, per un ammontare complessivo di 92.193 persone, la maggior parte delle quali di sesso femminile.

La persona più anziana del Giappone? Una donna di nome Fusa Tatsumi, 116 anni, residente a Osaka. L’uomo giapponese più anziano, invece, ha raggiunto le 111 primavere, si chiama Gisaburo Sonobe e vive nella prefettura di Chiba, vicino Tokyo. L’aspettativa di vita nel Paese del Sol Levante, comunque, è elevata per entrambi i generi: quello femminile vive in media circa 87 anni, mentre quello maschile raggiunge quota 81 anni.

Le cause dell’estrema longevità dipende da svariati fattori, tra i quali l’alimentazione: questo è piuttosto evidente nella zona di Okinawa, dove c’è una concentrazione particolarmente elevata di centenari.
Stando a quanto scoperto dal documentarista Dan Buettner, le patate viola dolci tipiche di Okinawa (beni imo), alimento base della dieta di Okinawa nel 1950, contengono il 150% in più di antiossidanti attivi rispetto ai mirtilli.

Ad assicurare salute e lunga vita sarebbero anche le foglie di gelso (che curano il mal di gola), la zuppa di nero di seppia (disintossicante), le alghe asa (che disperdono il calore del corpo), l’artemisia (un potente disintossicante) e la goya (zucca amara in grado di abbassare gli zuccheri nel sangue, contrastando il rischio di diabete).

Nella lista dei superfood anche il tofu di Okinawa, che riduce il colesterolo e il rischio di malattie cardiache, oltre a rallentare il decorso di alcune forme tumorali. Pare che sia soprattutto la varietà di cibi consumati ad alimentare la longevità locale, come asserisce Buettner nel suo documentario “Zone Blu”, prodotto da Netflix.

Che la longevità dipenda dall’alimentazione, dallo stile di vita o da altri fattori, una cosa è certa: in Paese come il Giappone, le politiche dedicate alla terza età sono fondamentali. Tuttavia, c’è da tenere conto di un aspetto niente affatto secondario della società giapponese: il peculiare approccio alla vita lavorativa.

La cultura giapponese del lavoro

Se c’è un elemento cardine attorno al quale ruota la società giapponese, infatti, è proprio il lavoro. Il lavoro, in Giappone, è visto innanzitutto come un dovere sociale. Il peggior peccato, per un giapponese, è diventare un parassita sociale, un peso per l’economia.

Il forte senso del dovere, oltre a generare lavoratori efficienti, può avere risvolti drammatici: stress alle stelle, insonnia notturna, fino alla depressione e al suicidio per sfinimento (karoshi). Termine che si utilizza per definire sia la morte naturale e che la morte per suicidio tipica di chi cede di fronte ad un eccessivo carico di lavoro.

L’assenza di sonno notturno e la crescente pressione esercitata sui lavoratori per ottenere performance sempre più efficienti fanno sì che in Giappone sia considerato normale schiacciare pisolini in ufficio durante l’orario lavorativo: brevi pause-sonno da mezz’ora per recuperare efficienza (i cosiddetti inemuri).

Sorge, quindi, spontanea una domanda: quale spazio potranno mai occupare, in una società improntata al lavoro e all’efficienza, gli anziani, magari in età pensionabile?

In Giappone, l’età pensionabile è in linea con quella di molti Paesi europei: intorno ai 65 anni, come la Francia e la Germania, e poco più anticipata rispetto all’Italia, Paese nel quale i lavoratori solitamente iniziano a ritirarsi dal mondo del lavoro intorno ai 67 anni. A fronte, ovviamente, di 20 anni cumulativi di contributi regolarmente versati.

Dopo i 65 anni, quindi, che cosa succede in Giappone?

Il boom delle assunzioni over 65

Un fenomeno in crescita negli ultimi anni è quello dell’assunzione di persone al di sopra dei 65 anni. Una faccenda che guarda il Ministero della Salute, del Lavoro e del Benessere giapponese, la cui denominazione è tutt’altro che casuale. Lo scorso anno, in media, 4 aziende nipponiche su 10 hanno assunto persone di età pari o superiore a 70 anni: lo ha riferito il quotidiano locale “Nikkei”.

I motivi si possono evincere analizzando l’attuale quadro economico della nazione: lo yen, valuta un tempo fortissima, si sta indebolendo, rendendo meno appetibile lavorare nel Paese. Questo, insieme ad altri fattori, ha contribuito a una progressiva “fuga di cervelli” giovani dal Giappone, partiti alla ricerca di opportunità all’estero. Ne consegue che l’offerta di forza lavoro non riesce più a soddisfare la domanda, rendendo necessario pescare in un bacino di lavoratori di età più avanzata.

Anche in settori come l’edilizia e la vendita i lavoratori “over” costituiscono il 10% della forza lavoro attualmente impiegata. Molto presidiato dai lavoratori più anziani è anche il settore dei trasporti: si stima che circa il 30% delle persone che lavorano in questo ambito come conducenti di taxi e autobus abbia almeno 65 anni di età.

L’opportunità offerta dai lavoratori anziani, agli occhi di aziende come Nojima, è ghiotta. Come ha dichiarato uno dei dirigenti dell’azienda, Yutaka Tajima: “Non sfruttare al meglio gli anziani è un grande spreco“. C’è persino un’azienda, YKK Group, leader mondiale nella produzione di cerniere lampo, che nel 2021 ha eliminato il limite di età pensionabile del suo personale.

D’altra parte, la situazione è seria: più del 50% delle aziende interpellate dal quotidiano giapponese hanno lamentato la carenza di manodopera. Al Giappone, per tamponare l’emergenza, servono sia i lavoratori più anziani che un numero superiore di lavoratori immigrati.

Il problema, però, non riguarda solo la forza lavoro ma le aziende stesse. Il governo giapponese ha fondati timori che più del 30% delle piccole manifatture e imprese commerciali possa chiudere bottega entro il 2025.

Il rischio è stato ribadito in un vecchio rapporto governativo secondo il quale nel 2019 erano 1,27 milioni i piccoli imprenditori che entro il 2025 avrebbero superato quota 70 anni senza avere eredi in grado di prendere le redini delle loro attività.

Secondo il rapporto, quest’eventualità potrebbe causare la perdita di 6,5 milioni di posti di lavoro e perdite economiche pari a circa 166 miliardi di dollari l’anno.

Vecchi in aumento, bambini in calo

Al fenomeno della crescita del numero di anziani si accompagna quello, complementare, del calo delle nascite: il numero di famiglie giapponesi con bambini è sceso per la prima volta in 37 anni, sotto i 10 milioni. Lo riporta Ansa.

Il calo demografico è progressivo: stando ai dati diffusi dal Ministero della Salute nipponico, alla fine dello scorso anno le famiglie con componenti al di sotto dei 18 anni erano 9,91 milioni. Il 3,4% in meno del 2019.
Quando presenti, i figli dei nuclei familiari giapponesi difficilmente sono più di uno: nel 49,3% dei casi sono figli unici, nel 38% sono due, mentre solo nel 12,7% dei casi sono tre o più.

Invece, le famiglie di anziani di età superiore ai 65 anni sono il 31,2% del totale.
Il problema del calo delle nuove nascite è molto sentito anche in Corea, nazione che recentemente ha raggiunto il record per il tasso di fertilità più basso del mondo. Qui si stima che il numero medio di figli che una donna avrà nel corso della propria vita sia sceso a 0,79.

La presa di posizione della politica

Vecchi o bambini? La politica tende a privilegiare l’obiettivo della crescita demografica. Sembra, infatti, che l’attuale priorità del governo Kishida sia la politica di assistenza all’infanzia: la prova è il piano, presentato lo scorso giugno, che prevede diverse misure a sostegno delle coppie che decisono di avere figli.

Il premier Fumio Kishida ha ribadito più volte l’urgenza della crisi demografica. Ecco le parole da lui pronunciate in Parlamento e riportate da “The Guardian”: “Il numero di nascite è sceso sotto 800.000 lo scorso anno. Secondo le stime. Il Giappone è sull’orlo del precipizio […] Concentrare l’attenzione sulle politiche relative ai bambini e alla loro crescita è una questione che non può aspettare e non può essere rimandata“.

D’altra parte, una popolazione che invecchia corrisponde ad un elettorato più anziano, portatore di bisogni e necessità che la classe politica non può ignorare, se vuole restare al potere. I dati non lasciano adito a dubbi: in occasione delle elezioni per la Camera dei rappresentanti del 2021, l’età media di coloro che si sono presentati alle urne è stata di 59 anni.

In generale, per tutelare la vita della popolazione più anziana, il governo giapponese si impegna attivamente in tre ambiti: l’assistenza domestica, la sicurezza e il lavoro. Dal 1989 esiste un programma di assistenza domiciliare per gli anziani non autosufficienti; dal 2006, invece, il governo ha introdotto un sistema di allarme antincendio e anti-intrusione per le case degli anziani, che consente loro di chiedere aiuto in caso di bisogno. Nel 2013, invece, è stato introdotto un programma di istruzione e formazione permanente per gli anziani, che consente loro di acquisire nuove competenze, spendibili anche nel mercato del lavoro.

Per quanto riguarda l’ambito lavorativo, il 1 aprile del 2021 è entrata in vigore una legge sulla stabilizzazione dell’occupazione delle persone anziane: tale legge ha introdotto l’obbligo di garantire opportunità di lavoro sia autonomo che dipendente per tutti i soggetti di età fino a 70 anni, in aggiunta all’obbligo pre-esistente di garantire l’occupazione delle persone fino ai 65 anni di età.

L’innovazione tecnologica al servizio dei più anziani

Non solo la politica, ma anche la tecnologia guarda agli anziani con un occhio di riguardo. I campi nei quali è più urgente il bisogno di innovazione sono quello dell’assistenza domiciliare e della cura sanitaria.

Ad oggi, sono molte le aziende che hanno sviluppato o stanno sviluppando intelligenze artificiali e robot allo scopo di tenere compagnia agli anziani: è il caso della SoftBank Robotics, che ha sviluppato Pepper, automa concepito per tenere compagnia agli anziani soli. Esistono anche robot che aiutano a deambulare, come GiraffPlus.

Per quanto riguarda il check up sanitario, all’Università di Tokyo Someya Group ha sviluppato e-Skin, una pelle elettronica ultrasottile, indossabile, che promette di rivoluzionare il monitoraggio delle funzioni vitali.
È, infatti, in grado di rilevare il battito cardiaco e il movimento dei muscoli, e di trasmettere i dati raccolti ad uno smartphone in modalità wireless.

La pelle elettronica, pensata proprio per monitorare a distanza la salute di una popolazione sempre più anziana, verrà utilizzata anche sui robot, per dare loro quella sensibilità epidermica che “è l’unica cosa che i robot ancora non hanno”. Parola dell’ideatore Takao Someya.

Insomma: il progresso tecnologico prende spunto dalle esigenze, sempre più preponderanti, di una popolazione la cui vita media è in costante aumento.

Il Giappone? Non è un Paese per vecchi

Pensi al Giappone e immagini un Paese nel quale gli anziani sono tendenzialmente trattati con rispetto. Eppure c’è chi fa di tutto per sfatare una simile credenza.

Nel 2021 fecero scalpore, sia in Giappone che all’estero, alcune esternazioni dell’accademico Yusuke Narita, professore di Economia all’Università di Yale. Interrogato sulla questione del rapido invecchiamento dei giapponesi disse: “Mi sembra che l’unica soluzione sia abbastanza chiara: non si tratta forse di un suicidio di massa – o un seppuku di massa – degli anziani?”.

I media internazionali interpretarono le sue parole come un invito agli anziani giapponesi di suicidarsi in massa e furono riportate da numerose testate, anche in Italia. Il “New York Times”, principale responsabile della diffusione internazionale delle parole di Narita, paventò persino che le teorie dell’accademico potessero rinfocolare gli stessi sentimenti di intolleranza che in Giappone portarono all’approvazione di una legge sull’eugenetica, nel 1948.

D’altra parte, anche alcuni politici si sono pronunciati pubblicamente in modo analogo a Narita. Lo ha fatto, esattamente 10 anni fa, anche il Ministro dell’Economia Taro Aso, esponente di un governo che allora si era appena insediato. Aso, senza giri di parole, invitò gli anziani a “sbrigarsi a morire” per non pesare sulle casse dello Stato. Le sue parole furono riportate all’estero dal “Guardian” e suscitarono un forte scandalo.

Plan 75: distopia o realtà?

Nel 2023 è uscito un film nipponico destinato a suscitare polemiche: “Plan 75“, della regista Chie Hayakawa. La pellicola, presentata all’ultimo Festival di Venezia, è ambientata in un Giappone distopico (ma non troppo) nel quale tutti gli individui, al compimento dei 75 anni, sono invitati a sottoporsi a eutanasia. Una soluzione estrema, d’urto, alla crisi demografica del Paese.

Vi chiederete: chi potrebbe mai scegliere di morire volontariamente a 75 anni, seppure in buona salute? La risposta sta nella cultura nipponica, che prevede che ogni individuo anteponga il “bene comune” della società in cui vive al proprio interesse individuale. L’armonia sociale (in giapponese wa) è uno dei valori più alti della cultura locale. L’imperativo: dimostrare l’amore per la propria patria (aikoku). Anche quando ciò significa acconsentire a togliersi la vita?

Nel film, come incentivo, alle famiglie degli anziani che decidono di aderire al programma di morte assistita viene corrisposta la somma di 100.000 yen (circa 630 euro). Certo, la scelta è volontaria e reversibile, ma la richiesta di morire per il bene comune non scandalizza nessuno. Sì, il film è fiction, ma allude ad un problema più reale e attuale che mai.

Presto il problema potrebbe riguardare anche noi

E l’Italia? Come direbbe lo scrittore americano Corman Mc Carthy, è decisamente “un Paese per vecchi”. Confrontando i dati di gennaio 2022 con quelli dell’anno precedente, l’indice di vecchiaia è aumentato del 5%: lo scorso anno erano 187,9 gli anziani ogni 100 giovani, come rilevato da Istat nel report Noi Italia del 2023. La speranza di vita media, in Italia, è piuttosto lunga, anche se non ai livelli del Giappone: 84,8 anni per le donne, 80,5 anni per gli uomini.

Gli italiani con più di 65 anni ancora attivi sul piano lavorativo sono praticamente raddoppiati negli ultimi 10 anni, da 372.000 a 705.000, ma questi soggetti sono solo il 5,1% della popolazione del nostro Paese (per riferimento, la media Ocse è del 15%).

Da noi sono molti i lavoratori anziani che decidono di continuare a lavorare anche dopo aver raggiunto l’età pensionabile: circa 444.000 sono i pensionati che svolgono attività lavorativa integrando la propria pensione, e di questi quasi la metà ha 70 anni.

Il profilo più tipico dei lavoratori di lungo corso è il seguente: uomini (78,4%), residenti nel Nord Italia (65%) e impegnati in attività lavorative autonome (86,3%). A differenza del Giappone, da noi la percentuale di lavoratori dipendenti over 65 è molto bassa: solo il 13,7%.

A fronte delle pensioni, spesso irrisorie, che vengono pagate agli anziani in Italia e che permettono loro a stento di pagare le spese per una sussistenza di base, è lecito chiedersi: non sarebbe il caso di seguire l’esempio del Giappone e investire (anche) su una forza lavoro di età più avanzata?

Oltre a trarre beneficio dalla maggiore esperienza che si suppone possa avere questa categoria di lavoratori, forse anche l’intero sistema lavoro & pensioni potrebbe diventare più sostenibile.

La palla passa alla politica, sempre che sia abbastanza lungimirante.

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