Saviors: i Green Day contro il mondo

Saviors: i Green Day contro il mondo

I Green Day dal vivo

Chi non conosce bene i Green Day potrebbe sentire alla radio il singolo ‘The American Dream is Killing Me’ e non sapere a quale era attribuirlo. È un prodotto dei primi anni, in cui erano forse il gruppo più famoso del momento a rispondere direttamente, tramite la musica, all’impegno guerrafondaio del presidente George W. Bush? È un’idea sperimentale degli anni duemiladieci, tra la complicata e multiforme trilogia e il ritorno alle origini di Revolution Radio? 

«Il sogno americano mi sta uccidendo», canta Billie Joe Armstrong nelle concitate note del ritornello. «Mandiamo un S.O.S./le cose si stanno facendo serie/hanno spianato la casa della tua famiglia/ora c’è un condominio». Non si parla direttamente di politica, né si fanno nomi e cognomi: il bersaglio di Armstrong, Tré Cool e Mike Dirnt è ora la cultura stessa dell’America, 

Oppure è una parte dei Green Day che c’è sempre stata e che tornano a scoprire in un ambiente sociale e politico sempre più complicato, in cui il punk – anche nella sua versione pop – diventa un bisogno del pubblico sempre più forte; che sia come sfogo, lettura degli eventi in corso, o anche solo rassicurazione che c’è qualcuno, anche solo nello showbiz, che mantiene una posizione ribelle. Ed è soprattutto il singolo d’apertura di Saviors, il quattordicesimo album dei Green Day, in arrivo il 19 febbraio e presentato dalla band come un ritorno alle origini, dopo una virata glam-pop poco apprezzata nell’ultimo, Father Of All M****fucker. 

In un’intervista per Rolling Stone, il bassista della band Mike Dirnt ha presentato Saviors come un ritorno alle origini, e ai valori blue collar che hanno costruito la base della band. Si sente un profondo attaccamento a quel passato, ricordato in maniera definita anche adesso e integrato nella loro etica lavorativa. Questo, combinato con la profonda amicizia che ancora unisce i membri dopo decenni di attività quasi ininterrotta, dona alla musica dei Green Day un senso di autenticità che, anche nei loro lavori meno radicali e più radio-friendly, tiene viva la fascinazione del pubblico per le loro imprese. 

Da più parti i Green Day sono stati considerati l’unico gruppo mainstream – già volendo considerare band comunque conosciute, come i System of a Down, al di fuori di tale categoria – ad opporsi attivamente nella loro musica a George W. Bush e al suo impegno guerrafondaio in Iraq. Non tanto nella quotidianità, nelle interviste o l’impegno pubblico, come le poi cancellate Dixie Chicks – ma direttamente nella propria arte. 

American Idiot, il concept album considerato capolavoro politico dei Green Day, compirà vent’anni proprio nel 2024. Sono proprio i membri della band i primi a rendersene conto, e a brandire nuovamente i messaggi politici contro il conservatorismo dei repubblicani per le cause più nuove, e parimenti necessarie, che si incontrano adesso. 

Il 28 febbraio del 2017, Billie Joe Armstrong in persona si serve della testata Clickhole per mettere in chiaro un punto importante: sì, l’«Idiota Americano» del suo album più famoso è proprio George W. Bush. 

«È bello potersi finalmente fare avanti in pubblico con queste informazioni: sì, George W. Bush era l“Idiota Americano“, e no, ancora adesso non vorrei mai essere lui. […] La ragione principale […] è che ha incominciato una guerra.» Si rammarica anzi di non aver reso abbastanza chiara l’allusione, sperando che i fan potessero «pensare con la propria testa» e connettere da soli i tasselli della questione. 

Nel 2017 Donald Trump era appena all’inizio del suo mandato, ma il suo atteggiamento intollerante, jingoista e bigotto era già sulle bocche di tutti. Dieci anni dopo della fine del mandato Bush, un altro presidente repubblicano prendeva il comando del paese con un programma conservatore. Non bisogna nemmeno cambiare il testo per rispondergli a tono. 

Durante l’epoca Trump, i Green Day non hanno avuto che da affilare le armi nel loro inventario per colpirlo come avevano fatto con Bush. Anche concluso il mandato del miliardario di New York, Billie Joe e i ragazzi non hanno messo da parte la lingua pungente: durante il concerto della 

Notte di Capodanno, trasmesso dalla ABC proprio nella città del magnate, hanno cantato l’evergreen American Idiot modificando il testo proprio per insultarlo.  

La canzone originale presenta il verso «I’m not a part of the redneck agenda»; dove il redneck, nella cultura americana, è il «bifolco» di campagna, spesso associato all’ignoranza e all’estrema destra, così chiamato per la caratteristica abbronzatura sul retro del collo dovuta al duro lavoro. In questa nuova versione diventa «I’m not a part of the MAGA agenda». 

Lo slogan presidenziale di Donald Trump, Make America Great Again, fa ancora una forte impressione sul pubblico americano. Con il paese sull’orlo di una nuova elezione, nella quale Donald Trump intende candidarsi nuovamente, ma con le tecniche e i messaggi che già conosciamo, il desiderio di protesta torna a serpeggiare tra gli elettori – e i non ancora – americani. 

Fino ad arrivare a Saviors, in cui il pop-punk crudo, urlato, senza fronzoli torna a brillare nelle casse e nelle cuffie. «Saviors», scribe la band su Instagram, «è un invito nel cervello dei Green Day, il loro spirito collettivo come band, e una comprensione di amicizia, cultura ed eredità negli ultimi trent’anni e passa» C’è sicuramente un senso di nostalgia, che ben si sposa con una tendenza del momento di riportare in auge i sound e gli stili degli anni duemila. Ma più che un tentativo di solleticare l’amore per il passato, Saviors riporta in mente l’immagine cliché cinematografica del vecchio veterano che riprende in mano l’arma per tornare sul campo come un tempo. È un po’ impolverata, ma funziona ancora. 

Mancano gli inciampi sociologici – come l’uso liberale di slur omofobi – dei vecchi album, che portano non solo la propria età avanzata, ma quella allora giovane dei suoi esecutori. La maturità ritrovata si vede in Father to A Son, ballata alla chitarra piacevolmente classica. Sulla carta un tributo alla famiglia – lo stesso Billie Joe Armstrong ha due figli, Jakob e Joseph – ma con uno sguardo più a distanza, dietro le immagini ormai familiari, un appello ai fan e agli ascoltatori tutti. «C’è qualcosa che posso fare/una saggezza dove il tuo cuore si sta dirigendo/un posto che tu desideri più di quanto possa darti». Se il sogno americano uccide, le vittime collaterali hanno bisogno di conforto. 

L’evoluzione completa, soprattutto, che si vede nello spazio che intercorre tra American Idiot e Saviors – quindi tra George W. Bush e Donald Trump, ma anche Joe Biden e il resto della sua amministrazione – è la mancanza di cinismo verso il suo prossimo. Prima che bacchettare gli «idioti» che sostengono la cultura peggiore, Armstrong preferisce rivolgersi verso chi ritiene abbia bisogno di aiuto. Il mondo di Saviors è popolato in massima parte non da ciechi sostenitori del sistema, ma vittime di esso che fanno del loro meglio tutti i giorni. Anche quando appare un «cattivo» ha un volto caricaturale – One Eyed Bastard, che gioca con cliché tratti dai film di mafia – perché questa è tutta l’attenzione che meritano oggi. Meglio guardare in basso, verso chi potrebbe davvero aver bisogno di una spinta. Forse non saranno i salvatori del titolo, ma possono dare una mano. 

Piuttosto i Green Day usano Saviors per dare voce a un senso di disgusto, disconnessione e rabbia repressa verso il sistema ormai storto che proviene non solo da loro, ma da tutto l’ecosistema che li circonda. Nonostante il pessimismo di fondo della situazione, c’è una nota positiva: se la loro attenzione si concentra sulla gente che ha bisogno di una voce, è perché così vedono i loro fan. Hanno costruito un pubblico socialmente impegnato, con una loro coscienza sociale, e che hanno bisogno di qualcuno che li faccia sentire capiti. 

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