L’intelligenza artificiale: un’opportunità che pone nuovi interrogativi

L’intelligenza artificiale: un’opportunità che pone nuovi interrogativi

L'intelligenza artificiale: : un’opportunità che pone nuovi interrogativi nella fotografia

L’intelligenza artificiale crea un caso al World Press Photo: quali sono le prospettive per le immagini generate dalle AI

Recentemente, il più importante concorso dedicato al fotogiornalismo, il World Press Photo, ha fatto retrofront. Se prima aveva deciso di ammettere le immagini generate dall’intelligenza artificiale, ha poi deciso di respingerle.

Il fatto genera molte domande: è giusto che le cosiddette ‘sintografie’ possano competere nelle stesse categorie delle foto prodotte dagli esseri umani? Possono essere definite opere d’arte? Come gestire il diritto d’autore?

Cerchiamo di capire qualcosa di più sulla complessa realtà dell’intelligenza artificiale che genera contenuti.

 

La messa al bando dell’intelligenza artificiale: il caso World Press Photo

Dopo aver inizialmente ammesso le immagini create con l’ausilio dell’intelligenza artificiale in un’apposita categoria, Open Format, il World Press Photo ci ha ripensato.

Solo pochi giorni dopo, ha annunciato che non ammetterà sintografie: migliaia di partecipanti si sono detti contrari. Permettere anche alle immagini generate da AI di partecipare rischierebbe di generare polemiche. Si pensi a quanto successo con una foto che ha vinto un Sony World Photography Award: l’enigmatico ritratto in bianco e nero di due donne. Il suo autore Boris Eldagsen ha poi confessato di averla generata sfruttando un’intelligenza artificiale.

Il caso ha spinto le persone a interrogarsi su molte questioni: l’autenticità dell’immagine generata, il suo valore artistico, l’effettiva possibilità di distinguere le immagini umane da quelle generate da AI. Si tratta di domande alle quali è sempre più difficile dare una risposta.

Intelligenza artificiale, la sintografia di Boris Eldagen

Intelligenza artificiale uguale fake

Il caso World Press Photo è doppiamente complesso: se c’è una caratteristica che viene implicitamente attribuita alla fotografia documentaria è il suo scopo di raccontare e mostrare la realtà. Cosa significhi poi la parola “realtà” e se la fotografia sia in grado di mostrarla in modo oggettivo sono le due questioni più dibattute da quando esiste la fotografia.

Generalmente, nei concorsi di fotografia non sono ammesse immagini fotoritoccate: il ritocco fotografico, anche a semplice scopo di abbellimento, è considerato una falsificazione dell’immagine. Questo concetto si rinforza quando entra in campo l’intelligenza artificiale, che consente di creare un’immagine ex novo o di intervenire inserendo persone ed elementi non presenti nell’originale.

Le immagini generate dall’intelligenza artificiale sono ben fatte: tanto da riuscire, talvolta, a ingannare Google. Se n’è accorto un professore americano, Ethan Mollick, che ha notato sul noto motore di ricerca l’immagine, evidentemente fake, del cantante hawaiiano Israel Kamakawiwoʻole con in mano una chitarra anziché il suo ukulele. Mollick ha condiviso l’immagine su twitter, creando un caso.

L’AI, uno strumento sempre più utilizzato dai fotografi

Impossibile ignorare l’esistenza dell’intelligenza artificiale: è pressoché dappertutto. Anche negli strumenti fotografici più utilizzati come Adobe Photoshop, che recentemente ha reso disponibili alcune funzioni AI basate sulla tecnologia Adobe Firefly.

L’AI è sempre più utilizzata dai fotografi e promette di rivoluzionare il settore dalle fondamenta, offrendo nuove sorprendenti prospettive.

Si pensi a Michael Christopher Brown, fotografo del National Geographic, che ha realizzato 90 Miles, serie fotografica composta da immagini generate da AI. La serie è un reportage del viaggio verso gli Stati Uniti degli emigrati cubani.

Intelligenza artificiale: una sintografia della serie 90 Miles di Michael Christopher Brown

AI, gli strumenti per generare le immagini

Ad oggi sono moltissimi gli strumenti che consentono di generare ex novo, attraverso la scrittura di un prompt – una stringa di testo contenente informazioni molto dettagliate sull’aspetto – dei contenuti. Sono i cosiddetti AI Content Generator: generalmente producono testi oppure immagini.

Per quanto riguarda queste ultime, la rivoluzione è iniziata da MidJourney, uno strumento che si autodefinisce in modo eloquente Next Gen AI Art Generator denunciando, quindi, la propria potenziale funzione artistica.

Rispetto ai suoi esordi – MidJourney ha esordito in versione beta all’inizio del 2023 – questo strumento, attraverso il continuo utilizzo da parte dei suoi utenti, si è migliorato notevolmente. A breve verrà lanciata l’ultima release V6, che promette di generare immagini con una risoluzione quasi raddoppiata rispetto al passato (2048×2048), con un sistema di elaborazione linguistica più sofisticato.

Inoltre sarà possibile controllare sempre di più le più piccole variazioni dell’immagine, creare modelli 3d e video. Un ultimo miglioramento importante e molto richiesto dagli utenti è quello sulla generazione di mani realistiche. Perché, come nel disegno a mano libera, le mani risultano sempre uno dei soggetti più ostici da rappresentare visivamente.

Oltre a MidJourney, che è disponibile gratuitamente per un numero limitato di immagini, ci sono molti altri strumenti analoghi e spesso gratuiti: da Microsoft Bing a StableDiffusion, passando per DALL-E 2.

Tra gli ultimi anche Canva, un noto strumento per creare grafiche e contenuti da utilizzare per il social media posting, ha reso disponibile uno strumento per generare immagini in modalità AI.

In tutti i casi, la regola è sempre la stessa: inserire delle indicazioni testuali più dettagliate possibili allo scopo di ottenere immagini più accurate e sofisticate.

Intelligenza artificiale: un esempio di immagine creata con MidJourney
Prompt: A crowd of cyborgs on the street. Frontal. Dramatic. Immagine creata con Midjourney

Una questione scottante: copyright e intelligenza artificiale

Il dibattito sul fatto che queste immagini o meno siano o possano essere ‘artistiche’ è bollente. La pietra dello scandalo è il fatto che si generino a partire da milioni di altre immagini generate da esseri umani.

Insorge, quindi, un problema urgente sul piano del diritto: quello del copyright. Le immagini alle quali si attinge non vengono menzionate né viene riconosciuto loro un compenso.

Tutto sommato, con l’intelligenza artificiale accade esattamente ciò che avviene anche con la creatività umana: si copiano più o meno consapevole le opere conosciute finché non si prova a dare forma ad una propria immagine originale e ad un proprio stile. Solo che quello stile può essere perfezionato dall’autore umano semplicemente scrivendo una breve stringa testuale.

Un esempio illustre è quello del database di foto a pagamento Getty Images, che a febbraio di quest’anno ha citato in giudizio la start-up Stability AI, sostenendo che avesse usato illegalmente le sue foto per addestrare il proprio bot. Per ovviare a simili problemi ha poi annunciato lo sviluppo di un proprio software generativo di immagini che sarebbe esente da problemi di copyright: Generative AI by Getty Images.

La stessa questione si pone anche per i testi. L’AI è infatti molto sfruttata anche per la redazione di testi sugli argomenti più svariati, e per scriverli le intelligenze artificiali disponibili come Google Bard e Chat GPT si avvalgono anche di fonti giornalistiche importanti.

A fine settembre, il quotidiano italiano il manifesto ha annunciato di aver bloccato l’accesso a ChatGPT e ad altri strumenti AI in modo da impedirgli di utilizzare gli articoli pubblicati online per generare testi.

Nel proprio articolo di denuncia, ha citato anche un’impressionante inchiesta condotta dal Washington Post nella quale si riportano molte delle fonti testuali alle quali gli AI content generator attingono senza permesso.


AI, un furto a livello globale?

La questione, però, è potenzialmente ancora più ampia e problematica. Sì, perché l’AI non si limiterebbe a violare il copyright ma si spingerebbe oltre, violando il diritto d’autore di milioni di utenti comuni.

La denuncia è arrivata dagli Stati Uniti e, per la precisione, dalla California. Lo scorso luglio, infatti, lo studio legale Clarkson ha lanciato una class action – azione legale di gruppo – ai danni di OpenAI, la società che ha sviluppato ChatGPT.

L’accusa: avere sfruttato i contenuti spontanei, creati spesso in forma di semplici post social o di blog, di milioni di utenti. In altre parole: aver portato avanti una violazione dei diritti d’autore a livello globale.

Per ora si tratta di una causa di tipo sperimentale, ma che si propone come modello al quale si rifaranno molte altre cause legali nel prossimo futuro. Perché l’intelligenza artificiale si trova in una zona grigia che sarà sempre più difficile riconoscere e perseguire.

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