Sabato Angieri

La settimana dei due presidenti: le dichiarazioni di Putin e Zelensky a confronto

La settimana dei due presidenti: le dichiarazioni di Putin e Zelensky a confronto

La settimana che si sta per concludere è stata caratterizzata da una significativa presenza mediatica dei capi di stato russo e ucraino. Se da un lato Vladimir Putin ha deciso di alzare il tiro con l’annuncio dello spostamento delle armi nucleari tattiche in Bielorussia, Volodymyr Zelensky si mostra preoccupato per le prossime elezioni statunitensi e continua a chiedere armi.

Putin-atlante
Vladimir Putin

«Il primo luglio sarà completata la costruzione di un deposito di armi nucleari tattiche in Bielorussia. Mosca e Minsk hanno convenuto che, senza violare i loro obblighi ai sensi del Trattato Start, dispiegheranno lì armi nucleari tattiche». Si è espresso così Vladimir Putin, come riporta l’agenzia di stampa russa Ria novosti citando una conferenza del presidente. In realtà il sistema missilistico «Iskander», utilizzabile per il trasporto di testate nucleari, si troverebbe già nel territorio controllato da Minsk. Ora si tratta di costruire i silos che custodiranno queste testate. Tuttavia, ha chiarito il capo del Cremlino «non stiamo trasferendo le nostre armi nucleari tattiche in Bielorussia, le dispiegheremo e addestreremo i militari, come gli Stati Uniti in Europa. Dal 3 aprile inizieremo ad addestrare gli equipaggi. Minsk ha chiesto a lungo di avere armi nucleari russe sul suo territorio». Su quest’ultimo punto, del resto, il presidente ha insistito molto, spiegando ai giornalisti di Rossiya 24 che l’accordo con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko era già stato definito in quanto, quest’ultimo, «chiedeva da tempo» di trasferire armi nucleari tattiche all’interno dei suoi confini. Al momento gli uffici stampa di Minsk non hanno commentato ufficialmente la notizia e quindi non abbiamo ancora reazioni di parte bielorussa.

Diversi commentatori ritengono che l’intera operazione mediatica sia una risposta alla decisione di Londra di fornire alle forze armate di Kiev armi all’uranio impoverito. Mosca aveva promesso una dura reazione, che non si è fatta attendere. A proposito di tali armamenti Putin ha dichiarato che il suo Paese «possiede centinaia di migliaia di queste munizioni, ma non le ha ancora usate. Sono molto pericolose per l’uomo e la natura a causa della polvere radioattiva». E, malgrado le preoccupazioni umanitarie e ambientaliste del presidente russo, «la Russia risponderà per le munizioni all’uranio impoverito». Ma in Bielorussia non saranno trasportati solo missili Iskander, «schiereremo in Bielorussia anche 10 aerei in grado di trasportare armi nucleari tattiche» ha aggiunto il presidente, insolitamente loquace. Contemporaneamente, nelle industrie pesanti della Federazione Russa saranno prodotti «oltre 1.600 carri armati entro un anno» permettendo così alle forze armate russe di «superare il numero di carri armati ucraini di oltre tre volte».

Il presidente russo, inoltre, è andato a colpire sul nervo scoperto dell’Occidente e sull’argomento che più divide le opinioni pubbliche interne, ovvero la fornitura di armi. «Lo stesso giorno in cui il presidente Xi Jinping ha illustrato i principi positivi del piano cinese per una soluzione pacifica in Ucraina» ha insinuato il presidente russo, «abbiamo appreso della fornitura di un milione di proiettili all’Ucraina dai Paesi occidentali, dagli istigatori di questo conflitto. È come se lo avessero fatto apposta per interrompere i nostri negoziati o influenzarli in qualche modo». Poco importa se gli Iskander russi erano già stati consegnati (sempre ammesso che sia vero) alla Bielorussia. E poco importa che il Cremlino minaccia da mesi di spostare le proprie testate atomiche ai confini occidentali di Minsk, dove si trova la Polonia, un membro della Nato.

A tale proposito sulle colonne del Kyiv Independent l’ex ambasciatore Usa in Ucraina dal 1998 al 2000 e affiliato al Centro per la sicurezza e la cooperazione internazionale dell’Università di Stanford Steven Pifer sostiene che «l’arsenale nucleare russo – il più grande al mondo – comprende circa 1.900 armi nucleari non strategiche, che possono essere trasportate da missili di superficie, aerei e sistemi marittimi. Inoltre, la Russia possiede circa 2.500 armi nucleari strategiche. Considerato tale arsenale, il dispiegamento di armi nucleari tattiche in Bielorussia non fornirebbe alla Russia ulteriori capacità contro l’Ucraina».

Il giorno dopo, Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza russo in un’intervista a Rossiyskaya Gazeta è passato direttamente alle minacce: «[Mosca] possiede armi moderne e uniche in grado di distruggere, in caso di minaccia alla sua esistenza, qualsiasi avversario, compresi gli Stati Uniti». Secondo Patrushev il principale alleato dell’Ucraina, gli Stati Uniti, è retto da politici Usa «intrappolati nella loro stessa propaganda» quando affermano che Mosca non sarebbe in grado di rispondere a un attacco nucleare da parte di Washington. Il funzionario russo ha anche riproposto il tema dello «scontro di civiltà» tra Nato e Federazione russa, accusando i membri dell’Alleanza atlantica di essere «di fatto parte del conflitto» in quanto «non nascondono che il loro obiettivo principale è cercare di prolungare la guerra il più a lungo possibile per ottenere la sconfitta della Russia sul campo di battaglia e un’ulteriore divisione».

Zelensky
Volodymyr Zelenskyy

Dal lato ucraino, invece, il presidente Volodymyr Zelensky ha ribadito il proprio invito all’omologo cinese Xi Jinping a Kiev. «Voglio parlare con lui» ha dichiarato Zelensky all’agenzia di stampa Associated press, «ho avuto contatti con lui prima della guerra. Ma durante tutto lo scorso anno non ne ho avuti altri».

Il tempismo non è affatto casuale. La scorsa settimana Xi si è recato a Mosca per una tre giorni che gli analisti politici definiscono «storica» in quanto potrebbe aver creato un nuovo asse tra Mosca e Pechino. Ma gli stessi analisti ritengono che la mossa cinese nasca dalla volontà di costruire un fronte più ampio contro gli Usa in funzione del possibile scontro su Taiwan e che il capo del partito comunista cinese sia in realtà pronta ad abbandonare Putin se sul campo di battaglia l’esercito russo dovesse fallire. Anche perché, nel frattempo, gli equilibri mondiali continuano a muoversi e gli Usa non sono certo attori secondari. Ieri la presidente taiwanese Tsai Ing-wen è partita per un viaggio diplomatico in Belize e Guatemala che farà scalo a Los Angeles e New York. Durante la sosta in California, probabilmente, Tsai potrebbe incontrare il presidente della Camera Kevin McCarthy. Si noti che ufficialmente gli Usa non riconoscono l’indipendenza di Taiwan e infatti la Casa bianca non incontrerà la delegazione governativa di Taipei per evitare di scatenare tensioni con Pechino. In ogni caso la reazione della Cina all’eventuale incontro è stata durissima «ci opponiamo risolutamente all’incontro e prenderemo misure in risposta alla provocazione che viola seriamente il principio ‘Una Cina’ e danneggia la sovranità nazionale e l’integrità territoriale della Repubblica popolare cinese, sabotando pace e stabilità nello Stretto di Taiwan» ha tuonato Zhu Fenglian, portavoce dell’Ufficio affari di Taiwan di Pechino.

Forse la chiamata di Zelensky non incontra Xi Jinping nella migliore disposizione d’animo possibile, ma il presidente ucraino in questo momento così delicato per le sorti della guerra ha bisogno di stringere le maglie delle proprie alleanze e crearne di nuove. Kiev ritiene, o almeno dichiara di credere, che l’incontro tra le delegazioni cinese e russa non sia stato positivo come si crede, in quanto l’annuncio dello spostamento delle testate atomiche in Bielorussia potrebbe essere volto a sviare l’attenzione dalla «mancanza di garanzie ricevute della Cina». Il capo di stato ucraino ha definito Vladimir Putin una «persona isolata dal punto di vista informativo» che ha «perso tutto» nell’ultimo anno di guerra.

Tuttavia, neanche Zelensky deve essere più tanto convinto dell’appoggio «fino alla vittoria» dei suoi alleati se ieri si è spinto a dichiararsi preoccupato per un eventuale cambio al vertice della politica a stelle e strisce. «Gli Stati Uniti capiscono davvero che se smettono di aiutarci non vinceremo» ha detto il leader ucraino, ringraziando pubblicamente gli Usa e l’Europa occidentale per il sostegno militare che ha finora permesso in larga parte la resistenza del suo Paese. Ma è importante che tale sostegno sia effettivo e non come quello ricevuto da «uno stato europeo» non meglio specificato che avrebbe donato a Kiev un sistema di difesa aerea non funzionante. Sappiamo che molti stati hanno approfittato delle forniture di armi a Kiev per svuotare i magazzini militari degli armamenti più vecchi e riammodernare gli arsenali. Ciononostante è la prima volta che i politici ucraini si lamentano pubblicamente del malfunzionamento dei sistemi ricevuti.

Può darsi che le nuove offensive russe a Bakhmut abbiano influito sul nervosismo del presidente ucraino che a tale proposito ha dichiaramento senza mezzi termini che «perdere Bakhmut potrebbe spingere la Russia a porre dei compromessi inaccettabili. Putin potrebbe usare la vittoria a suo vantaggio ‘vendendola’ all’Occidente, alla sua opinione pubblica, all’Iran e alla Cina. Se sentono il sangue, se avvertono che siamo deboli, spingeranno ancora e ancora». E, inaspettatamente, Zelensky ha espresso la preoccupazione che gli ucraini stessi potrebbero sentirsi stanchi e spingere il governo a cercare compromessi con Mosca.

Sul campo, intanto, si continua a combattere per il controllo di Bakhmut e ora il fronte si sta allargando anche alla vicina città di Avdiivka.

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