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Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

Un tempio remotissimo nascosto nella giungla peruviana, un idolo d’oro poggiato su un piedistallo e protetto da svariate trappole mortali e un archeologo armato di frusta con in testa il suo inseparabile cappello. Questi sono gli elementi di cui si è servito Steven Spielberg nella prima sequenza di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta per presentare al pubblico un personaggio destinato a lasciare il segno per sempre nella storia del cinema. Indiana Jones, l’archeologo che è costantemente alla ricerca di reperti rarissimi e che, a tempo perso, insegna all’università, è diventato sin dalla prima apparizione uno dei miti del cinema d’avventura hollywoodiano, nonché un vero personaggio archetipico. Un’influenza che da anni non appartiene più solo al cinema ma che è diventata crossmediale (Nathan Drake, protagonista della celebre serie di videogiochi “Uncharted” è solo una delle tante reincarnazioni di Indy).

Ma da dove parte l’epopea del più celebre archeologo di cui si sia mai sentito parlare? La storia non inizia da Spielberg, bensì da George Lucas. È infatti lui che, spinto dalla passione per i vecchi serials d’azione e i fumetti d’avventura, crea il personaggio di Indiana Jones.
La palla passa a Spielberg quando, in vacanza alle Hawaii, lo stesso Lucas gli espone a grandi linee il personaggio. Da quel momento in poi fu tutto in discesa, e dalle numerose riunioni successive tra Lucas, Spielberg e Lawrence Kasdan (lo sceneggiatore designato del film), nasce la sceneggiatura di I predatori dell’arca perduta (all’epoca senza il nome del protagonista nel titolo che fu poi inserito nelle riedizioni successive agli altri capitoli della saga).
Il film, riconosciuto a livello globale come una delle opere più famose della storia del cinema, è un insieme di citazioni e omaggi che ha a sua volta generato innumerevoli imitatori.
Innanzitutto va detto che è un film che si allontana dalla tendenza della “New Hollywood” che aveva caratterizzato una lunga schiera di film e autori del decennio precedente ( Da Robert Altman a Roman Polanski, da Taxi driver ad Apocalypse now); Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta è un film che tende a non prendersi sul serio e che non si basa sulla profondità dei personaggi, quasi del tutto assente, ma piuttosto su un senso di avventura fine a sé stessa e sulla godibilità dell’azione (diretta magistralmente in ogni sequenza da Spielberg).
Questa mancanza programmatica di profondità si nota dal primo all’ultimo frame del film. i personaggi che lo compongono sono tutti bidimensionali: si parte dalla separazione netta tra personaggi buoni e positivi e personaggi cattivi e negativi, per giungere alla costruzione di caratteri fissi, mutuati per stessa volontà degli autori (Lucas soprattutto) dai clichè del cinema di serie B. Va notato inoltre il totale asservimento della spalla femminile al protagonista. Anche questa non si esime dalla logica della bidimensionalità su cui il film si basa.

Un ulteriore elemento che caratterizza il primo film è proprio l’ambientazione. Le vicende narrate in Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta avvengono in Egitto negli anni ’30. Tuttavia, l’Egitto rappresentato da Spielberg è ben distante dall’Egitto reale dell’epoca. Tutto ciò che fa da sfondo alle vicende dell’archeologo è profondamente debitore della storia del cinema Hollywoodiano classico. La rappresentazione dell’ambientazione è infatti ispirata ad una serie di film che, oltre ad aver fatto la storia del medium cinematografico, hanno anche profondamente influenzato l’immaginario collettivo. Anche il modo in cui gli ambienti vengono illuminati e fotografati si modella su una certa concezione di fare film.

La voglia di leggerezza si presenta anche nei presunti buchi di sceneggiatura, i quali, a un occhio attento appaiono di nuovo come una sorta di manifesto programmatico. Si pensi alla scena in cui Indiana Jones e i suoi assistenti scavano, praticamente sotto il naso dei nazisti, cantando ad alta voce, oppure alla scena in cui si aggrappa al sottomarino per farsi trasportare; o ancora al già citato Egitto immaginario. Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta è un film che sembra sapere di esserlo, dunque, seppur sottostà ai criteri di credibilità, non sottostà all’imperativo della realtà. Un film postmoderno (uno dei primi), che citando elementi presi da vari media (quali fumetti, cinema, televisione e letteratura) crea una storia di avventura che specchiandosi in sé stessa, oltre a mostrare l’avventura del protagonista, mostra anche il concetto stesso di narrazione d’avventura.

Citando il critico cinematografico Franco La Polla
Così ha ragione chi ha letto nel finale della pellicola non tanto una piccola polemica contro l’ottusità della burocrazia e del potere, quanto invece una forte, felice metafora di un magazzino dell’immaginario cinematografico nel quale l’arca, in quanto occasione di un film (e di un film che ne riassume molti, idealmente anzitutto un cinema del passato), viene accantonata. Il magazzino non è chiuso a chiave, Spielberg ne ha libero accesso. E noi con lui.

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