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Il sesso al centro del nuovo horror di Ti West

Il sesso al centro del nuovo horror di Ti West

Lo scorso 14 luglio è stata distribuita nelle sale italiane l’ultima fatica del regista statunitense Ti West: “X: A sexy Horror Story”. Il film vede come protagonista un’improvvisata troupe cinematografica amatoriale negli anni ’70 che si reca nella fattoria fatiscente di una coppia di anziani, ostili sin dall’inizio, con lo scopo di girare di nascosto un film pornografico. La trama può essere riassunta in questa breve frase, ma il punto forte dell’opera non sta nella trama (come d’altronde non ci si aspetterebbe da uno slasher movie, genere al quale questo film fa capo), ma nel discorso politico alla base (non propriamente originale, ma trattato in modo intelligente), nella regia, nella fotografia e nelle convincenti interpretazioni del cast e soprattutto dell’attrice protagonista Mia Goth.

Il cardine attorno al quale ruota il film è il sesso e il modo con il quale i personaggi dell’opera si relazionano ad esso. Le varie tendenze sono rappresentate dai diversi personaggi femminili del film. Da una parte abbiamo le protagoniste del film fittizio, le quali desiderano sfruttare il loro corpo e il mezzo pornografico per arricchirsi a più non posso e vivere una vita da dive. Nessuna voglia di emancipazione, di sperimentare o di libertà ma un forte individualismo e la mera voglia di denaro e di una vita più semplice con il minimo sforzo. Agli antipodi abbiamo l’anziana proprietaria di casa: una donna repressa e mentalmente deviata che desidera al tempo stesso uccidere e giacere con tutti gli ospiti della fattoria, donne e uomini. Una dicotomia che si avverte sin dai primi momenti in cui viene inquadrata. L’anziana è mossa da un’obbligata astinenza sessuale causata dai problemi di cuore del consorte. Ai suoi occhi il sesso assume dunque il doppio significato di frutto proibito e desiderio inesaudibile e dunque, appaga i suoi istinti attraverso la violenza perpetrata ai danni dei suoi ospiti.

Infine, la terza visione è incarnata dalla giovane fidanzata del regista che dopo un’iniziale reticenza e un continuo sguardo moraleggiante ai danni degli altri personaggi, alla vista dei corpi nudi e della leggerezza con la quale gli altri personaggi si relazionano al sesso, cambia totalmente prospettiva e desidera addirittura prendere parte al film in una scena esplicita. Una folgorazione data da un’apparente discussione sconclusionata che la ragazza ha con gli altri membri di questa improvvisata troupe, e che cambia totalmente il suo modo di vedere le cose. In relazione a ciò è interessante anche notare l’evoluzione del personaggio legato alla giovane: il suo fidanzato. Quest’ultimo, inizialmente desideroso di girare un film ambizioso e artistico, seppur pornografico, vede quest’aspirazione sparire quando viene costretto dalle circostanze a girare, in lacrime, una scena esplicita della sua fidanzata. Anche in questo passaggio ci si può vedere, seppur in modo esteso, un collegamento col discorso sessuale. Tuttavia, questo sembra un sottotema poco sviluppato e soprattutto poco chiaro agli occhi dello spettatore, probabilmente lasciato intenzionalmente aperto dal regista statunitense.

Parlando della regia c’è molto da dire. In primis va lodata al livello tecnico: Ti West conosce il mezzo, conosce il linguaggio horror (e in fin dei conti sembra anche conoscere quello dei porno anni 70) e cita e omaggia grandi classici. Su tutti sicuramente “Non aprite quella porta” e “Psycho”, quest’ultimo omaggiato con grande cura e anche con un’ottima resa nella scena del primo omicidio compiuto dall’anziana signora.

Un segno di stile che sicuramente caratterizza il film, sono le inquadrature asimmetriche: il regista statunitense fornisce in questo modo un’immagine distorta ma altamente scenica che contribuisce a rendere riconoscibile il look visivo del film; questo ovviamente coadiuvato da un’ottima fotografia curata da Eliot Rockett, la quale tocca il suo apice nella già citata scena del primo omicidio. Un ulteriore tema ricorrente è quello degli sguardi: i già citati sguardi del regista e della sua fidanzata, ma anche quelli minacciosi degli anziani e infine quello vacuo della protagonista. Gli occhi assumono un forte peso nel bilancio visivo dell’opera e sono sempre messi in scena in un ottimo modo.

Dal punto di vista semantico un altro elemento degno di nota presente all’interno del film è il discorso metacinematografico che Ti West sembra intrattenere con lo spettatore: il regista in alcune sequenze giustappone scene del film e del film nel film, dialogando direttamente con lo spettatore con diversi intenti. Sembra quasi voler descrivere a chi guarda il puro piacere del guardare (violenza o sesso sembrano quasi messi sullo stesso piano) senza alcuna sovrastruttura.

Questo dialogo con lo spettatore si materializza anche in un altro modo e soprattutto con un altro scopo e lo si ritrova nella particolare ma significativa scelta di far interpretare a Mia Goth sia la protagonista e l’antagonista. In questo caso il cineasta statunitense comunica allo spettatore che in realtà i due personaggi non sono totalmente opposti ma potrebbero essere due facce della stessa medaglia o ancora peggio la stessa faccia modificata dal tempo e dalle circostanze.

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