Atlante

I giorni perfetti di un’esistenza semplice – Perfect Days

I giorni perfetti di un’esistenza semplice – Perfect Days

A sei anni dal suo ultimo lungometraggio di finzione, Submergence, Wim Wenders torna nelle sale con un film che può essere considerato la summa artistica del suo cinema: Perfect Days. Quest’ultimo, distribuito in Italia dal quattro gennaio, è stato presentato in concorso per la palma d’oro al Festival di Cannes 2023 e ha riscosso sin da subito il plauso unanime di critica e pubblico.

La pellicola è ambientata a Tokyo e, seppur non sia presente una trama vera e propria, vede al centro delle vicende Hirayama, un anziano addetto alle pulizie dei bagni pubblici. Nel corso dell’opera, infatti, non viene raccontata una storia organica e unitaria: la narrazione è episodica ed ognuno dei segmenti mostrati corrisponde ad una giornata nella vita del protagonista. Questi, una persona metodica e abitudinaria ma anche in grado di godere di piccoli piaceri e di lasciarsi sorprendere da cose che ai più risultano invisibili, vive una vita quasi ai margini: trascorre la sua esistenza in una casa umile tra la dedizione estrema al suo lavoro, giri in bicicletta, letture quotidiane, l’ascolto di musica tramite mezzi analogici e la sua passione per la fotografia (anch’essa in forma analogica). Nonostante ciò, la prospettiva del protagonista, e quindi del regista stesso, non è di sconforto e disperazione, tutt’altro. È evidente sin da subito che in quella routine, in quelle cassette, in quei libri, in quella bicicletta Hirayama ha trovato la sua dimensione; neanche gli sconvolgimenti quotidiani, che nel film non mancano, riescono a scalfire quella sensazione di pace e tranquillità che il protagonista trasmette in ogni sequenza, anche in quelle in cui appare triste.

In Perfect Days, Wenders condensa tutti gli elementi che hanno reso celebre il suo cinema e inserisce anche le sue più grandi passioni. Su tutti sono tre gli elementi che spiccano: i libri, che il protagonista legge voracemente ogni settimana (viene citato anche un libro della scrittrice Patricia Highsmith, autrice del romanzo da cui Wenders ha tratto la sceneggiatura del suo film L’Amico Americano); la musica, che accompagna sempre il protagonista (e che accompagna da sempre le pellicole del regista tedesco); infine, il Giappone (che il regista ha già avuto l’occasione, in un certo senso, di raccontare nei suoi due documentari, Tokyo-ga, pellicola che tratta del cinema di Yasujirō Ozu, e Appunti di viaggio su moda e città, una conversazione tra Wenders e lo stilista giapponese Yohji Yamamoto).

Per descrivere le giornate di Harayama, il cineasta nativo di Düsseldorf, si serve di una regia delicata, dolce e sobria, ispirata al cinema nipponico e soprattutto al già citato Ozu. I movimenti di camera sono lenti, le inquadrature di ampio respiro (anche nei primi piani) e la città viene disegnata e ripresa in modo impeccabile. Il tutto, inoltre, viene fotografato in un bellissimo 4:3 con lo scopo di esaltare l’altezza reale e metaforica di tutto ciò che il protagonista osserva: sono frequenti le inquadrature delle chiome degli alberi (che il protagonista fotografa con passione) o della Tokyo Skytree.

Al netto di quanto detto finora, tuttavia, sorge un dilemma, forse l’unico neo del film di Wenders; nella poesia della semplicità che circonda la vita del protagonista, il regista, abilmente non mostra nulla del passato del protagonista, seppur in certi passaggi sembra volerci suggerire dei precedenti fatti di patimenti e sofferenza. Ciò che mostra è la vita di un uomo che vive solo, ha rapporti cordiali con le altre persone ma non ha amici veri e propri, rifiuta la modernità ancorandosi alla musica, ai libri e ai mezzi analogici del passato, abita in una casa con i servizi ridotti all’essenziale e non cerca in nessun modo di uscire dalla sua routine abitudinaria fatta di tante piccole cose. Il rovescio della medaglia qual è? Cosa cerca di dire, o cosa ha involontariamente detto il regista tedesco? Forse che la pace, la tranquillità e la spensieratezza si trovano nel rifiuto in toto della vita moderna e della società? Se davvero così fosse, il film perderebbe mordente. Tuttavia, è possibile che la filosofia orientale, di cui il film è pregno, sia di difficile comprensione per un pubblico non particolarmente avvezzo a quel tipo di concezione della vita e dei racconti (non a caso la sceneggiatura del film è scritta da Wenders stesso e da uno sceneggiatore giapponese, Takuma Takasaki).

In conclusione, seppur con delle riserve, Perfect Days, è un grande film fatto di piccole cose: attraverso la vita di un umile addetto alle pulizie, Wenders suggerisce allo spettatore che i giorni perfetti della nostra vita, non sono quelli da rincorrere, quelli fatti di felicità estrema, gioia esagerata, vacanze, abusi di sostanze ecc. Ogni giorno è perfetto, sia esso allegro o triste: tutto ciò che viviamo, ogni sensazione ed ogni emozione che si prova, contribuisce alla perfezione dell’esistenza.

Condividi