Flaminia Zacchilli

Hole In My Head: il mondo nella testa di Laura Jane Grace 

Hole In My Head: il mondo nella testa di Laura Jane Grace 

Foto di Laura Jane Grace

La prima cosa che si vede cercando informazioni sul nuovo album di Laura Jane Grace, intitolato Hole In My Head, è un volto coperto di sangue. Un’immagine degna di una Otep in stato di grazia, più heavy metal che hard rock – e che comunica rabbia, tanta rabbia. 

Il video di Hole In My Head ha poco di trucido, nella sua totalità. La scelta del volto insanguinato come biglietto da visita non può che considerarsi una decisione cosciente. L’immagine del buco nel corpo è un classico del rock alternativo – basti pensare a Hole In My Soul, o il Down A Hole degli Alice in Chains. Cambia, però, la modalità con cui tale “buco” viene usato. Non fonte di ferimento o di reclusione, ma di sollievo e conforto. 

Copertina di Hole In My Head

Come una vescica che viene perforata e purgata del male che contiene, il “buco nella testa” di Grace è una fuga da un mondo scomodo e chiuso di mente, che permetta di allontanarsi da ciò che circonda. In particolare dalla disforia – ma non solo. C’è un intero mondo attorno a lei, il che è sorprendente soprattutto perché buon parte dei suoi punti di vista sono intimi rispetto a lei. 

Nel maggio 2012, Laura Jean Grace degli Against Me! ha fatto coming out come donna transgender. Questo è un fatto impossibile da trascurare quando si sceglie di analizzare il suo operato artistico, perché rappresenta la linfa vitale della sua opera creativa. La musica degli Against Me!, e di Lara Jane da sola, è uno sbocco di rabbia tutta personale. 

Si può quasi immaginare la signora Grace da sola nella sua stanza, con il classico sorriso da zia eccentrica che ti passa di nascosto venti euro per le sigarette e sostiene che i piercing per cui tua madre ti critica tanto sono, in verità, molto carini da vedere. 

La disforia è un argomento presente, ma non il fulcro della sua vita. È qualcosa che, piuttosto, colora nel quotidiano le sue esperienze e il suo rapportarsi col mondo. Nelle mani di Grace diventa inoltre uno strumento indispensabile per dare forma ai suoi pensieri in musica.  

Tornando alla title track, la metafora di Hole In My Head è legata alla disforia, ma aperta a interpretazioni. L’argomento centrale, come espletato in un’intervista, è quello che Grace chiama il “felpone della disforia”: quello che lei, e molte altre donne transgender, indossano quando non riescono a tollerare la disconnessione tra il loro corpo e la loro identità di genere, sentendosi poco attraenti e preferendo non farsi vedere. Non è tuttavia patetica, o intimidita: solo un momento no in una persona altrimenti molto forte e sicura. Proprio perché c’è più spazio di interpretazione al suo interno, e viene interpretata in modo unico con una metafora ben scelta. 

Per il resto dell’album si può sentire quanto Grace è a suo agio nel suo ambiente; un paradosso, quando si considera l’inquietudine di fondo nell’album. Un timore strisciante verso il mondo, e verso sé stessa – e ricompare l’idea del buco in testa, del fuggire da sé. Ma anche di affrontare il mondo, per migliorarsi e superare le sue paure. Give Up The Ghost, una ballata alla chitarra acre e pungente, sfoggia una performance vocale raschiata spettacolare e aggredisce verbalmente Dio in persona. Anche quando ricompare l’immagine del felpone in cui scappare, dal sagace titolo Dysphoria Hoodie, è affrontato con abbastanza ironia da non parere ridondante. 

Musicalmente, Hole In My Head è il lavoro solista di una donna abituata a lavorare in gruppo, ma non è spento e non è incompleto. È assistita da Matt Patton, batterista dei Drive-By Truckers, e la presenza limitata di influenze esterne aiuta a dare all’album un senso di sfogo privato, curato in uno spazio in cui la cantante si sente al sicuro. Meno urlato e stratificato di ciò che ci si aspetterebbe dagli Against Me!, il disco solista si fregia invece di ballate alla chitarra acustica graffianti, crude e spietate. Oltre a Give Up The Ghost si segnala Hard Feelings («oh madre, mi sono bruciata il cervello/di erba, porno e cocaina»): immagini sporche per un sound sporco, che non ha pietà nel mettersi a nudo. Anche la voce di Laura Jane Grace, con la sua cadenza sarcastica e furente insieme alla Dolores O’Riordan, si adatta all’alt-rock come un guanto.

Il picco di genialità sonora viene invece con I’m Not A Cop, una traccia swing-rock and roll anni cinquanta. Tranne che dietro al microfono, anziché un fascinoso e sogghignante Elvis Presley, c’è una signora di quarantatré anni che ripete, nel ritornello, «io non sono un f*ttuto sbirro». Una giustapposizione sapiente, e propriamente ironica.  

Hole In My Head è un lavoro artistico che combina la rabbia dell’alt-rock e l’eleganza dell’indie. Una Fiona Apple metallizzata, che desidera stringere il mondo in mano e frantumarlo in mille pezzi per il male che ha fatto a lei e alla sua gente. Quando si guarda nel buco nella sua testa si vede un caleidoscopio, con colori terrosi e forme affilate; ma non se ne può fare senza. 

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Priscila