Giorgia meloni con gli occhi degli altri

Giorgia meloni con gli occhi degli altri

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“L’Europa teme sconvolgimenti mentre l’Italia barcolla a destra”, “la destra dura ritorna in Italia”, “la peggiore destra dai tempi di Mussolini”… Sono solo alcuni dei titoli che campeggiano sulle prime pagine dei quotidiani all’indomani della vittoria di Giorgia Meloni alle elezioni politiche del 25 settembre. A exit poll ancora incerti sulla stampa estera del giorno dopo, il sentimento era univoco: la paura del sovranismo. Tutti concordano sulla matrice neofascista di Fratelli d’Italia, dichiarandolo il governo più di destra dalla seconda guerra mondiale, in altre parole, dal fascismo.

Ma che rapporto ha Meloni con l’Europa? “Nonostante si sia impegnata in messaggi rassicuranti nell’ultimo periodo la sua ascesa al potere non è così apprezzata né a Parigi né a Berlino” si legge sul NYT. “La pacchia è finita” aveva dichiarato lei qualche giorno fa, da piazza Duomo a Milano, in uno dei momenti più caldi della campagna elettorale sostenendo che la “sua” Italia ritornerà a fare la voce grossa a Bruxelles per difendere i propri interessi, non da ultimo il tetto al prezzo del gas.

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“Non le conviene scuotere la barca”, sostiene il Guardian, se vuole ottenere i 191 miliardi del recovery plan. Un’opportunista, la definisce, tramite i commenti di illustri politologi, che all’occorrenza sposterà l’asticella dalla destra estrema alla destra moderata, dall’ispirazione fascista alla tolleranza europeista. “Il ritorno di Salvini come Ministro dell’Interno” sostiene sempre il quotidiano inglese “rischia di smorzare le speranze di un tentativo da tempo in stallo nell’Ue di riformare il sistema migratorio”. Uno stallo, però, non dovuto ai governi italiani ma a una paralisi generale e a divergenze tra gli stati membri, se si esclude il debole Patto Ue su Migrazione e Asilo che non ha per nulla diminuito la pressione sul Mediterraneo.

Qualcuno insiste sulla mancanza di stabilità del prossimo governo, nonostante abbia vinto le elezioni con una maggioranza schiacciante. Sempre il Guardian, da un’intervista al politologo presidente di Teneo Wolfango Piccoli, fa notare come il tema delle sanzioni alla Russia, la crisi energetica e l’ondata invernale della pandemia piegheranno la coalizione di centro destra, dove già diversi sono gli attriti tra le forze politiche finora alleate, la Lega di Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi. Una tesi condivisa anche dal Times che vede possibile uno scontro delle forze di destra sulla scelta dei ministri.

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Proprio il Times, titolando “l’estrema destra provoca un mal di testa all’Europa” mette insieme la rete di relazioni di Giorgia Meloni con i partiti reazionari europei: la mancata approvazione da parte di Fratelli d’Italia della risoluzione UE di qualche giorno fa contro l’Ungheria, che le attribuiva violazioni degne di un regime autocratico, i rapporti con la destra spagnola Vox, con Jimmie Akesson dei moderati di destra svedesi e con il partito di estrema destra polacco Diritto e Giustizia.

“The firebrand politician”, una 45enne testa calda, la definisce. Tanti, infatti, tra i giornali esteri, sembrano sposare la tesia della politologa Nadia Urbinati, secondo la quale la leader di Fratelli d’Italia non vuole solo governare un paese ma diventare un modello per l’Europa, proprio per quella rete di Conservatori Europei della quale fa parte al Parlamento europeo, il vessillo del sovranismo omofobo e razzista in tutto il continente.

Su Le Figaro Frédéric Le Moal, lo storico francese del fascismo, mette in guardia dalla convinzione comune di una Meloni postfascista, considerandola piuttosto “conservatrice, sovranista e patriottica”, mentre l’editorialista Philippe Gélie, sempre dalle colonne del quotidiano francese parla di “profondo sconvolgimento degli equilibri di potere”. Se ai paesi come Ungheria e Polonia, freschi di ingresso nell’Unione e che pesano poco in termini di Pil si può concedere una virata verso l’estrema destra, sostiene, avere un’Italia – terza economia dell’eurozona – sovranista vuol dire dover fare i conti con una situazione che non si può “mettere a tacere”. “Il Club dei Ventisette” scrive “dovrà adattarsi, praticare una tolleranza a cui non è abituato, piegarsi per non rompersi”. Si parla anche di una Le Pen felice per la vittoria di Giorgia Meloni ma confusa per la disfatta della Lega, storico partito affine ai lepenisti. Così mentre il primo ministro francese Elisabeth Borne prende le distanze dalla scelta democratica degli italiani, Le Monde annuncia preoccupazioni e vigilanza in particolare sul diritto all’aborto.

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El Mundo parla della “destra più dura dai tempi di Mussolini” ma propone, tra i suoi commenti, anche una visione “ottimista” sottolineando la scarsa possibilità di manovra di una leader “ultraconservatrice ed eurofobica”, ma circondata da una serie di contrappesi, in primis la Banca Centrale e la Corte Costituzionale, ma anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a guardia della Costituzione e della stabilità democratica e finanziaria. A queste figure si aggiungono, tra loro connesse, la situazione economica post pandemica che risente anche delle sanzioni alla Russia e del rialzo dei prezzi e i fondi del PNRR, necessari alla ripresa. Tra i limiti che stringeranno l’operato della Meloni, i rapporti con gli alleati Salvini e Berlusconi, definiti “i lobbisti di Putin”. L’idea dell’editoriale di El Mundo è che la nuova premier si concentrerà sulle questioni interne: immigrazione, aborto, dio, patria e famiglia tradizionale prima di stuzzicare l’Ue con questioni che potrebbero mettere in ginocchio la situazione del debito.

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Ci va giù pesante El Pais che parla de “la guardia pretoriana di Meloni” che si prepara a governare “con un partito senza una buona classe dirigente e senza esperienza nelle istituzioni”. Il momento è tra i peggiori per governare dal punto di vista economico, afferma il giornale spagnolo, che paventa addirittura un bis del governo Berlusconi del 2011 che ha lasciato l’Italia sul lastrico in seguito alla crisi economica mondiale.

Un governo euroscettico tra i pilastri fondatori dell’Europa, preannuncia, insomma terremoti non da poco a Bruxelles, nonostante la leader di Fratelli d’Italia abbia moderato i toni negli ultimi giorni di campagna elettorale. Toni non molto moderati quelli invece della Von Der Leyen che dopo una non molto velata minaccia dei giorni scorsi risponde alla vittoria di Fratelli d’Italia con il silenzio.

“Draghi non era il Messia e Meloni non è il diavolo” tuona Matthias Rüb in un editoriale dalle colonne della Frankfurter Allgemeine Zeitung e anche lo Spiegel si mantiene cauto “Non è l’Apocalisse”. Anche sulla stampa tedesca rimangono i dubbi se il sentimento meloniano virerà verso atteggiamenti più moderati e filoeuropeisti o quantomeno tolleranti nei confronti di quelli che finora sono stati chiamati da FdI “i burocrati” o se proseguirà con le ostilità che caratterizzano da sempre il suo programma. Lo spettro dell’ultimo governo di destra, quello di Silvio Berlusconi e della bancarotta fa capolino nella memoria di diversi editorialisti.

Della personalità di Giorgia Meloni sui giornali esteri si sottolinea la determinazione, il piglio e questa opportunità di un tentativo per chi l’ha votata, un “vediamo come va” per una leader che alle istituzioni non c’è mai stata. A soffermarsi sulla sua storia personale per lo più il New York Times che ne sottolinea le origini umili e l’infanzia complicata.

Su una cosa l’intera rassegna stampa estera si sbaglia. Sul definire il governo di Draghi un “governo tecnico di unità nazionale”, qualcuno aggiunge anche “stabile” o “in grado di governare stabilmente il paese”. Draghi, infatti, insieme alla sua agenda, è e rimane il grande sconfitto da queste elezioni. Potrebbe essere il segno che il voto a Giorgia Meloni sia da interpretare davvero come un voto antieuropeista.

A colpire le colonne del Times, d’altronde, la frase di Enrico Letta alla vigilia delle elezioni “questo voto è la nostra Brexit”.

Chissà che non sia davvero così.

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Foto di Marco Oriolesi su Unsplash