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Storia dell’aborto in Polonia

Storia dell’aborto in Polonia

L’aborto non è sempre stato un diritto negato alle donne polacche. Infatti, come ci racconta Magda Grabowska nella rivista spagnola CTXT, questo era legale in tempi del cosiddetto socialismo di stato: dal 1956 la procedura era sia legale che ampiamente accessibile. Fu una legge del 1993 a limitarne la legalità tranne in tre eventuali situazioni: quando la gravidanza fosse il risultato di una violenza sessuale, quando la vita o la salute della madre fossero a rischio, o quando il feto presentasse delle anomalie gravi.

Da allora, la situazione non ha fatto che peggiorare. Da quando il partito di estrema destra Diritto e Giustizia vinse le elezioni del 2015, il paese è stato scenario di attacchi feroci contro i diritti civili della maggioranza, sotto il potere di un Governo che punta le sue energie principalmente su questi. Non si tratta solo di una guerra culturale, anche se le due battaglie sono strettamente collegate. Si tratta di diritti che hanno un forte impatto sulle condizioni materiali di coloro che le hanno già di per sé precarie.

Dagli anni novanta, le donne polacche si sono organizzate per continuare ad abortire clandestinamente. Per via delle misure estreme prese trent’anni fa, infatti, erano pochi gli aborti praticati in modo regolare: poco più di 1.000 legali all’anno in un paese da quasi 40 milioni di abitanti. E, fino a ottobre del 2020, il 97% di questi si erano potuti svolgere grazie a una procedura ora proibita.

Nell’autunno del 2020, nonostante la pandemia, le strade della Polonia si riempirono in un modo che non aveva precedenti dai tempi di Solidarnosc: fu allora che il Tribunale costituzionale, preseduto da una donna, decise di invalidare la costituzionalità dell’accesso all’aborto dovuto a ‘‘malformazione grave e irreversibile del feto o malattia incurabile che minacci la vita del feto’’, rendendo così la situazione del diritto all’aborto delle donne polacche ancora più pericolosa.

 

Questo ha portato organizzazioni come Amnesty International, che riporta questi dati, ad iscriversi come terze parti alle cause avviate di fronte alla Corte europea dei diritti umani da oltre mille donne, che denunciano che la legislazione del loro paese non solo viola la loro autonomia fisica, ma rischia anche di negare loro la libertà dalla tortura. Human Rights Watch, Commissione internazionale dei giuristi, Federazione internazionale dei diritti umani, Rete europea della Federazione internazionale per la pianificazione familiare, Women Enabled International, Women’s Link Worldwide e Organizzazione contro la tortura sono le altre organizzazioni in supporto di questa tesi.

Come riportato da Ana Oppenheim su Novara Media, in contesto polacco, il numero di aborti che si svolgevano giá da prima della sentenza, in modo illegale o all’estero, è di circa 100.000 all’anno, invece dei 1.000 ufficiali. Per donne che se lo possono permettere ci sono ad accoglierle, solitamente, cliniche in Germania, Repubblica Ceca e Inghilterra. Come al solito, il problema é più grave per le donne lavoratrici o povere, che si vedono obbligate a ricorrere a metodi illegali e indubbiamente pericolosi.

L’estrema destra di paesi come la Polonia regge il suo progetto su restrizioni ai diritti di questa gravità. Il loro progetto politico, senza alcun tipo di soluzione per la classe lavoratrice, si nutre di un insieme di nazionalismo mescolato a un’ossessione per l’invasione ‘‘woke’’ in arrivo da occidente e, in particolare, dall’Unione Europea. Questi tratti rendono la Polonia un chiaro esempio dei progetti sovranisti che stanno crescendo già da tempo in Europa. Questo tipo di progetto politico con caratteristiche neofasciste, che possiamo vedere in Italia esemplificato dall’attuale Governo capitanato da Giorgia Meloni, è identificabile da un’erosione in qualche modo sottile della democrazia. Le conseguenze sono, tra le tante, proprio il taglio di diritti come l’aborto: il Tribunale costituzionale responsabile delle nuove restrizioni è infatti strettamente legato a Diritto e Giustizia. Quando il partito raggiunse il potere, impedì a cinque giudici che erano stati nominati di svolgere il loro ruolo, per mettere invece in atto la presa del potere di giudici nominati dal partito.

Abbiamo, però, ragioni per afferrarci alla speranza. Solamente un 13 per cento dei polacchi appoggia queste restrizioni. Da quando il Governo polacco le ha stabilite, la risposta, in forma di protesta sociale, è stata sconvolgente. E, tra gli aspetti più importanti, si trova il fatto che ad unirsi alle donne giovani di tutto il paese ci siano state quelle di ogni altra età, così come sindacati tra cui quello dei minatori, e lavoratori organizzati del trasporto, delle poste e dell’agricoltura.

È questo forse ciò che dobbiamo capire in Italia: il modo per combattere le derive antidemocratiche operate dall’estrema destra è attraverso l’unione della maggioranza dei lavoratori. Anche quella internazionale: i paesi sotto governi di questo tipo hanno bisogno di condividere strategie. I futuri in ballo sono sopratutto quelli delle donne con meno risorse materiali. La limitazione dell’accesso all’aborto è una crisi umanitaria che colpisce proprio loro, e che bisogna combattere con una solidarietà di classe che comprenda che la difesa della sanità pubblica. Un’azione comune vuol dire anche questo: il diritto di tutte a non avere mai la propria umanità messa in dubbio.

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