Wednesday April 12th, 2023
La frammentazione della sinistra nella Spagna di Sánchez
Il Governo di coalizione spagnolo è ormai vicino alle elezioni politiche che potrebbero segnare la sua fine o, al contrario, innescare un cambiamento verso sinistra. Dipende tutto da quale dei gruppi che la formano avrà più potere. Finora, si è trattato del centro-sinistra rappresentato dal PSOE, il quale ha reso possibile il Governo più progressista mai avuto in Spagna dalla fine della dittatura fascista di Francisco Franco ma che, anche nel farlo, ha reso i suoi successi molto più moderati di quanto la sinistra al suo fianco avrebbe voluto.
Varie politiche che la sinistra di Unidas Podemos ha dovuto sopportare in coalizione con il PSOE sono un’aumento del 26%, 2,5 miliardi di euro, in spese di difesa e piani d’investimento dei 140 miliardi di euro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza basati sulla partnership pubblico-privata, così come la crescente ostilità del presidente Pedro Sánchez verso l’immigrazione, che arrivò, a giugno del 2022, allo scandalo di dozzine di migranti uccisi dalle polizie marocchina e spagnola al confine con Melilla, persone che cercavano disperatamente asilo.
D’altra parte, le politiche più positive di questo Governo sono state portate avanti dalla sua sinistra. È grazie a questa che le misure di sostegno per i più deboli contengono l’inflazione, che si è raggiunta l’imposizione di una — temporanea — imposta patrimoniale e delle imposte sugli extra profitti alle banche e alle grandi imprese energetiche, che si sono drasticamente ridotti i prezzi dei trasporti pubblici. Infatti, alla fine del 2022 la Spagna aveva l’inflazione più bassa della zona euro: un 5,5% paragonato al 9,2% di media. Da giugno 2022, i costi energetici spagnoli sono stati in media un 41% più bassi che quelli italiani.
La sinistra della coalizione di Governo è formata da Podemos e da altre forze di sinistra che, insieme, formarono Unidas Podemos. Podemos è il famosissimo partito figlio del 15M: simile all’Occupy Wall Street statunitense, il movimento cittadino del 2011 — chiamato anche gli ‘Indignados’ — contro il bipartitismo PSOE-PP, riunì tutti i movimenti sociali del momento. I leader di Podemos, come per esempio Íñigo Errejón, che finì per creare il suo proprio progetto, Irene Montero e, specialmente, Pablo Iglesias, venivano dai movimenti universitari.
Questi gruppi che formavano l’allora nuovo partito venivano anche dai movimenti sociali ed erano particolarmente giovani. Col passare del tempo, sempre più persone di questi movimenti sociali passarono a far parte del partito, indebolendoli sempre di più. Anni più tardi, c’è un grande risentimento da parte di questi movimenti verso Podemos: sentono di essere stati abbandonati per un progetto istituzionale che, invece, non ha fatto abbastanza.
Ma l’atmosfera di frammentazione si estende in tutta la sinistra: un buon esempio sono le proteste di Madrid del 2022. Sia in quella per l’8 marzo che in quella del primo maggio, le diverse organizzazioni protestarono separatamente. Nella prima, ci fu una profonda separazione tra coloro che difendevano i diritti trans e delle lavoratrici del sesso e coloro che invece negavano un posto nel loro movimento femminista a questi gruppi, in ciò che potrebbe definirsi come un vero e proprio atto di bullismo. Solo questo dovrebbe farci riflettere su quali sono i limiti del movimento femminista dei nostri tempi. Nella seconda, i sindacati egemonici e quelli marginali si separarono. Sia i primi, fin troppo legati ai partiti e al Governo, che i secondi, intrappolati in una marginalità che sembrano pericolosamente abbracciare e che può solo risultare in una sconfitta perpetua, persero l’opportunità di marciare insieme.
E intanto, cosa accadeva nelle istituzioni? Da una parte, Podemos era incentrato sulle politiche femministe portate avanti dal Ministero della Parità di Irene Montero. La legge chiamata del ‘Solo sí es sí’ (‘Solo sì è sì’) è arrivata tra un’infinità di polemiche. Gran parte dell’opposizione a questa legge viene però dalla sinistra stessa: il Ministero di Montero, infatti, si dichiara apertamente per l’abolizione della prostituzione e, con leggi come questa finisce per danneggiare, invece di aiutare, le lavoratrici del sesso, che si vedono in situazioni sempre più criminalizzate e precarie. Questa legge parte anche dall’idea che, a priori, le donne non desiderano il sesso e gli uomini desiderano solo il sesso, riproducendo così idee sessiste e risultando alienante sia per uomini che per donne. Infatti, il Ministero di Montero, incentrandosi sul governare con un approccio femminista, finisce troppo spesso per adottare, invece, un approccio misogino: il risultato è una guerra culturale andata male.
D’altra parte, bisogna sottolineare che, in parte grazie proprio al Ministero guidato da Montero, la Spagna è uno dei primi paesi al mondo ad offrire ferie retribuite per i dolori mestruali e l’accesso all’aborto è migliorato. A parte le politiche specificatamente femministe, Podemos si è caratterizzato dalla sua lotta contro il lawfare, l’uso antidemocratico dei grandi mezzi di comunicazione, e le leggi sulla libertà di espressione.
Una leader naturale, la comunista Yolanda Díaz, Ministro del lavoro del Governo spagnolo, si presenta come l’alternativa a Podemos dentro la sinistra istituzionale. Ha lanciato il suo progetto, Sumar, come candidata alla presidenza del Governo per le elezioni politiche di quest’anno, con l’intenzione, come sottolinea il collega Eoghan Gilmartin su Jacobin, di “togliere i riflettori dalla lotta ideologica d’avanguardia ed incentrarsi invece sulle politiche materiali”. La disuguaglianza economica e l’abitazione come diritto fondamentale sono, per questa leader, le due sfide più fondamentali da affrontare in Spagna.
Nel suo ruolo di Ministro del lavoro, Díaz è diventata la figura politica più amata dalla popolazione spagnola. Le sue politiche femministe, invece di adottare il paternalismo caratteristico di quelle di Montero, s’incentrano sulle donne lavoratrici: con la ratifica del ‘Convenio’ (Patto) 189 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), i diritti delle lavoratrici domestiche si sono equiparati a quelli del resto dei lavoratori. Questa è una grande notizia sia per questa parte della classe lavoratrice che per tutto il suo insieme: facilita, tra più aspetti, l’organizzazione in comune. Díaz ha anche portato avanti un’importante legge, la ‘Ley rider’, che protegge i lavoratori della gig economy, riconoscendo i riders come impiegati di piattaforme online — la Spagna è il primo paese in Europa a farlo. Inoltre a queste politiche e a varie salite del salario minimo c’è la riforma del lavoro portata avanti da Díaz, che ha portato ad una caduta del 7% dell’impiego temporaneo nel 2022, numeri storici dietro ai quali c’è la sicurezza di centinaia di migliaia di lavoratori.
Incontrando figure che vanno dall’economista francese Thomas Piketty, al leader brasiliano Lula e il senatore statunitense Bernie Sanders, a Papa Francesco, Díaz si costruisce come una figura politica con dei chiari principi ma aperta al dialogo e le negoziazioni. Come Lula, la leader sembra leggere il momento che stiamo vivendo come uno nel quale la classe lavoratrice vuole delle soluzioni tangibili piuttosto che dei dibattiti accaniti o delle riflessioni accademiche. Questo va insieme a mettere la classe lavoratrice, precisamente, al centro del progetto politico della sinistra: a differenza di Podemos, i quali rappresentanti e le cui basi provengono fondamentalmente dai movimenti universitari e sociali, il progetto di Sumar si nutre del sindacalismo di Comisiones Obreras, il grande sindacato di sinistra spagnolo che, anche se formalmente autonomo, si è da sempre visto legato alla figura di Díaz. Il ritorno del laburismo in Spagna è inevitabilmente legato a lei.
I sondaggi sembrano indicare che l’unione tra la sinistra di Díaz e quella di Podemos porterebbe a entrambi i gruppi dei risultati promettenti nelle prossime elezioni. In un momento come questo, sembra urgente avere come priorità le necessità più urgenti della maggioranza degli spagnoli, e capire che il risentimento, sia tra i partiti che tra le organizzazioni politiche sindacali, non porta a risolvere nulla — di certo nulla che abbia a che fare con le condizioni materiali dei cittadini.