Monday April 3rd, 2023
IL COMPLEANNO DEL TUO MIGLIORE AMICO
Potresti non saperlo ma oggi, 3 aprile 2023, il tuo migliore amico compie 50 anni. Quello a cui confidi messaggi d’amore, note vocali, posizioni del parcheggio e movimenti del tuo navigatore, numeri di telefono, confidenze, pin della carta di credito, quello che ha davvero globalizzato il mondo, che ha inventato il miglior teletrasporto possibile sul pianeta.
Secondo la ricerca di Counterpoint Research, una persona su quattro passa poco meno della metà della sua giornata davanti allo smartphone, circa 7 ore al giorno, mentre la metà degli utenti utilizza il cellulare 5 ore al giorno. Un numero impressionante se si pensa che 8 ore al giorno circa dovrebbero essere dedicate al sonno!
Ma come siamo arrivati a questo?
Era il 3 aprile 1973 quando il dipendente della Motorola Martin Cooper fece una chiamata a New York su un Motorola DynaTAC - soprannominato “brick”, "mattone" per le sue dimensioni e il suo peso - che fu ampiamente considerata a livello globale come la prima telefonata pubblica da cellulare.
Il dispositivo era alto 9 pollici, comprendeva 30 circuiti stampati, aveva un tempo di conversazione di 35 minuti e impiegava 10 ore per ricaricarsi.
Martin Cooper, nella sua prima telefonata chiamò proprio il competitor, Joel Engel, capo della ricerca presso i Bell Labs Nokia, anch'egli impegnato nello sviluppo del primo telefono cellulare.
Lo spot del primo telefono cellulare.
Nel 1991 è arrivata sul mercato la tecnologia delle celle di seconda generazione (2G), dopo essere stata lanciata dall'azienda finlandese Radiolinja con il famoso slogan: "In modo che i finlandesi possano parlare di più", facendo ironia sul carattere discreto, silenzioso, poco abile allo small talking dei finnici.
Poi fu la volta del 3G che è arrivato sul mercato dopo altri 10 anni nel 2001 e nel 2009 queste reti hanno registrato un'enorme domanda con la nascita nel 2007 dell’iPhone Apple, dando origine alle recenti tecnologie 4G, con connessioni Internet più veloci e applicazioni multimediali avanzate, fino al 5G dei nostri anni.
Ma come tutti gli amici, il cellulare è diventato anche molto prezioso. Non solo per le foto e i ricordi che vi intrappoliamo dentro, ma anche perché ogni dispositivo contiene 0.035 grammi di oro, ancora più alte quantità di rame, ferro, argento, palladio, litio, cobalto, terre rare. Anche qui l’indagine di Counterpoint Research fornisce un quadro abbastanza esaustivo: la durata del ciclo di vita medio dello smartphone – a livello globale – è di 21 mesi. I nostri dispositivi, dunque, scadrebbero addirittura prima dei tempi europei di garanzia.
Proprio una settimana fa la Commissione Europea ha presentato un disegno di legge per contrastare l’obsolescenza programmata. La formula in inglese è right to repair, diritto alla riparazione, e prevede la possibilità di riparare un dispositivo elettronico, dagli smartphone ai pc, anche oltre la fine della garanzia. Un bene per i consumatori, ma soprattutto per l’ambiente, inquinato da rifiuti elettronici in quantità.
Il cellulare, come nostra indispensabile appendice, come quinto arto, ha anche altre conseguenze un po’ spaventose, volendo farci caso. Molti di noi, certamente i più giovani ma non solo, delegano allo smartphone le attività principali della vita. L’orientamento, ad esempio, e ogni faticoso o meno esercizio di memoria. Il movimento e la misurazione dei passi. Le nostre password, la nostra agenda, i piccoli e grandi appuntamenti e impegni quotidiani da ricordare, la lista della spesa. Ma anche suggestioni, visioni, input. Tutti abbiamo gallerie piene di “foto di servizio”, appunti oggetti o luoghi che abbiamo fotografato per ricordarci un’insegna, un articolo da comprare, un nuovo locale da provare, un blocco del traffico da evitare, un concerto per cui prendere i biglietti.
A volte mi ritrovo a pensare a come sarebbe la nostra giornata tipo senza lo smartphone, con le caratteristiche che ha assunto oggi.
Una sveglia digitale ci sveglierebbe, ma probabilmente sarebbe da impostare ogni sera, a rischio errore umano. Non avremmo dove leggere le notizie mentre facciamo colazione (esiste ancora il servizio di consegna a casa dei giornali all’alba?)... ci affideremmo a un canale tv h24 ma da ascoltatori passivi. Ci arriverebbero tutte le informazioni, anche quelle che non ci interessano, e forse non ci arriverebbero quelle importanti per noi. Dovremmo anche aspettare che passi il meteo in tv, per sapere come vestirci e se portare con noi un ombrello per l’intera giornata, a patto di non voler accendere il computer prima ancora di arrivare a lavoro.
Non avremmo le informazioni sul traffico, sottoposti così alla casualità di ogni incidente, chiusura stradale, lavori in corso, senza possibilità di cambiare strada. Arrivati sul luogo di lavoro dovremmo pagare il parcheggio recandoci all’apposita colonnina anziché con l’app, recuperare il tagliando e ritornare in auto a posizionarlo (tempo stimato: 5-6 minuti). Per non parlare di non conoscere l’orario di arrivo dell’autobus, o non poter utilizzare i servizi di car/monopattino/bicicletta-sharing.
Le comunicazioni (come le informazioni) sarebbero poche e centellinate. Poche ma buone, si potrebbe dire. Non articolati messaggi vocali di 9 minuti in media per ogni paio di scarpe acquistato da un’amica ma poche e veloci telefonate scelte solo per le informazioni importanti. In molti non ci raggiungerebbero, perché abbiamo perso l’abitudine a richiamare, quando non possiamo rispondere, sapendo che le notizie urgenti o che richiedono un nostro intervento sono poche. Poco male.
La sera potremmo uscire, o provare un nuovo ristorante, ma quantomeno in una grande o media città avremmo bisogno di studiare il percorso prima, stampando una mappa dal computer, perché non sappiamo orientarci, né tantomeno quelli della mia generazione hanno mai imparato a leggere le mappe di carta. Dovremmo telefonare, per controllare che sia aperto. Ci avventureremmo a scatola chiusa, non un parere, non una recensione, solo un cartello in tangenziale. Per quanto ne sappiamo potrebbero essere avvelenatori seriali.
A quel punto ci ritroveremmo a tavola con il nostro partner tra l’ordinazione e l’arrivo del primo a parlare delle nostre giornate lavorative per i primi 4 minuti. Poi il vuoto. Non una foto da mostrare, non un aneddoto di amici comuni arrivato sui nostri telefoni nel pomeriggio, poche e vaghe notizie lette sul giornale o sul pc nelle rare pause da lavoro, di cui abbiamo dimenticato tutti i dettagli. Nessun algoritmo ci ha suggerito niente nel nostro tempo libero, concerti dei nostri artisti preferiti, gossip… Dettagli che non possiamo cercare in tempo reale.
“Hai visto chi ha vinto l’Oscar, infine? Cosa, lì, comesichiama. Che poi aveva recitato molto bene anche in quell’altro film, quello di quel regista… aspetta non ricordo il nome”.
“Dovrei prendere quel farmaco per il mal di testa atipico che ho visto in tv, aspetta come si chiama. Lo chiederò in farmacia”.
E via così, in un crescendo di conversazioni sconnesse tra persone che si direbbero totalmente ignoranti e disinformate che devono riferirsi direttamente ad altri umani per la conoscenza di base di qualunque informazione in qualunque momento della propria vita. La relazione funzionale in luogo dell’individualità. Chissà com’era prima.
Si potrebbe anche andare al cinema a seguire, a patto di conoscere la città e riuscire a raggiungere in tempo il cinema più vicino, mettersi in fila per dei biglietti che non si sono potuti acquistare prima e guardare un film a caso, quello disponibile quel giorno, a quell’ora, in programmazione, senza scegliere.
Casualità, mancanze, inciampi, occasioni, destini ai quali siamo completamente disabituati. Perché lo smartphone è programmazione, mania del controllo, amministratore delle nostre vite. E come affermò molto presto il neurologo e scrittore Oliver Sacks, scomparso nel 2015, ci toglie la memoria.
A proposito della nostra ossessione per la tecnologia ebbe a dire:
Come neurologo, ho visto molti pazienti resi amnesici dalla distruzione dei sistemi di memoria nel loro cervello, e non posso fare a meno di sentire che queste persone, avendo perso il senso del passato o del futuro sono intrappolate in un palpito di effimero […] Ciò che stiamo vedendo – e provocando noi stessi – assomiglia a una catastrofe neurologica su scala gigantesca
Nel libro di Philip Roth “Il fantasma esce di scena”, uscito nel 2010, il protagonista,riapparso a New York dopo molto tempo si chiede:
Cos’era successo in questi dieci anni perché tutt’a un tratto ci fossero tante cose da dire, tante cose e così urgenti che non si poteva aspettare a dirle? Ovunque andassi, qualcuno mi veniva incontro parlando al telefono e qualcuno mi seguiva parlando al telefono. Quando presi un taxi, l’autista era al telefono. Per uno che spesso passava molti giorni di seguito senza parlare con qualcuno, fui costretto a domandarmi cos’era crollato nella gente, di ciò che prima le teneva insieme, per rendere l’incessante chiacchiericcio telefonico preferibile a una passeggiata sotto la sorveglianza di nessuno, a un momento di solitudine che permetteva di assimilare le strade attraverso i propri sensi corporei e di pensare la miriade di pensieri che ispirano le attività di una città. Per me, faceva sembrare comiche le strade e ridicole le persone. Eppure sembrava anche un’autentica tragedia. Sradicare l’esperienza della separazione doveva avere inevitabilmente un effetto drammatico. Quali saranno le conseguenze? Tu sai che puoi raggiungere l’altra persona in ogni momento, e se non puoi diventi impaziente, impaziente e irritato come un piccolo, stupido dio. Sapevo bene che il silenzio di fondo era stato abolito da un pezzo nei ristoranti, negli ascensori e nei campi da baseball, ma che l’immensa solitudine degli esseri umani dovesse produrre questo sconfinato desiderio di essere ascoltati, unito al disinteresse per chi ascolta le tue conversazioni…”
Dopo la pandemia, non facciamo che toccare con mano le colpe dello smartphone: tra le dipendenze comportamentali degli adolescenti tra gli 11 e i 17 anni analizzate in questi mesi dall’Istituto Superiore di Sanità, la seconda a preoccupare è proprio la dipendenza da schermi, videogiochi e social network, per lo più fruiti tramite smartphone.
Se per circa il 70% degli anziani il cellulare è stato un’ancora di salvataggio contro la solitudine causata dagli anni di pandemia, per i ragazzi comincia a diventare causa di solitudine, disturbi del sonno, dell’alimentazione, della capacità di relazionarsi.
Lo smartphone è diventato la nostra bombola d’ossigeno, la nostra sindrome di Stoccolma, ci contiene, contiene la nostra musica, i nostri gusti, i contenuti che ci interessano, per via dell’algoritmo sa di noi più di quanto noi sappiamo di noi stessi.Tutto di noi, tramite l’erede del primo cellulare, viene venduto: gusti, movimenti, frequentazioni, relazioni.
Come siamo arrivati dal telefonare a un’altra persona in un altro luogo della città fino ad avere in tasca uno strumento che ci conosce più di quanto noi conosciamo noi stessi nel giro di 50 anni?
Se dello smartphone non possiamo fare a meno, forse è arrivato il momento di cercare delle parti di noi che lo smartphone non può raggiungere, e tenerci stretti quei momenti che lo smartphone non vede e non sente. Tutto ciò che è qui e ora, live, ma anche vivo, che ha ancora (o sempre più) un valore.
È quello che fanno i ragazzi del Luddite Club di New York, che come i loro omologhi di epoca dickensiana, hanno deciso di rompere la loro relazione tossica con gli smartphone e di ritornare al vecchio cellulare con opzioni funzionali, come telefonare e sms, senza connessioni a Internet. Si ritrovano a Brooklyn per parlare, leggere, suonare, fare tutto quello che un gruppo di amici farebbe senza smartphone. Molti di loro hanno sentito la dipendenza dalla connessione, dai social, dalla necessità di apparire, e comunicare, soprattutto durante la pandemia, decidendo così di darci un taglio. E cominciano ad essere sempre di più.
Che cosa sarà del futuro del nostro braccio destro, del nostro amico più fedele?
Dagli Alcatel delle scuole medie con i primi sms di 160 caratteri, al Nokia 3310 con le batterie bruciate giocando a Snake, passatempo ossessivo come pochi, passando attraverso gli squilli dai molteplici significati, lo scatto alla risposta, una indimenticabile Megan Gale che si arrampica sulla parete di un grattacielo, la storia del cellulare è diventata anche un po’ la nostra, quella dei millennials cresciuti nei ‘90, il cui unico desiderio a riguardo, ora, è che arrivi sul mercato uno smartphone la cui batteria continui a durare per un tempo ragionevole anche a un anno dall’utilizzo.